Segnalazioni Novità Giurisprudenziali
CONTRATTO PRELIMINARE E NORMATIVA URBANISTICA. GLI ULTIMI ORIENTAMENTI DELLA CASSAZIONE
Sentenze commentate
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Nullità del contratto e azione relativa - in genere - Nullità ex art. 40 della legge n. 47 del 1985 - Ambito di applicazione - Preliminare di vendita di immobile irregolare dal punto di vista urbanistico - Inclusione - Fondamento.
I - CASS., SEZ. 2, 17 ottobre 2013, n. 23591
Cassa APPELLO NAPOLI, 29 giugno 2006
Il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è nullo per la comminatoria di cui all'art. 40, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che, sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estende al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa.
[Pres. Triola – Est. Parziale – P.M. Capasso, conclusioni difformi]
II - CASS., SEZ. 2, 17 dicembre 2013, n. 28194
Cassa APPELLO FIRENZE, 23 novembre 2006
Il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico è nullo per la comminatoria di cui all'art. 40, secondo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che, sebbene riferita agli atti di trasferimento con immediata efficacia reale, si estende al preliminare, con efficacia meramente obbligatoria, in quanto avente ad oggetto la stipulazione di un contratto definitivo nullo per contrarietà a norma imperativa.
[Massima non ufficiale].
[Pres. Triola, Est. San Giorgio, P.M. Capasso, conclusioni difformi]
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Preliminare – Immobile irregolare dal punto di vista urbanistico – Sanzione della nullità – Non sussiste – Diritto del mediatore alla provvigione – Sussiste.
III - CASS., SEZ. 3, 19 dicembre 2013, n. 28456
Conferma TRIBUNALE CATANIA, 5 aprile 2006
La sanzione della nullità prevista dall'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al primo settembre 1967, con la conseguenza che in queste ipotesi rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si può far luogo alla pronunzia di sentenza ex articolo 2932 c.c.
[Massima non ufficiale].
[Pres. Uccella, Est. Chiarini, P.M. Fresa, conclusioni conformi]
SOMMARIO: 1. I fatti; 2. Nullità formale e nullità sostanziale nella dottrina...; 3. … (segue) e nella giurisprudenza; 4. Il nuovo orientamento della Suprema Corte; 5. Contratto preliminare e normativa urbanistica: evoluzione del pensiero giurisprudenziale; 6. Rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo alla luce della normativa urbanistica; 7. Normativa urbanistica e responsabilità del notaio; 8. Postilla.
1. I fatti
I signori D.V. e M.L. convengono in giudizio i signori Z.G. e M.A. per sentire dichiarare, tra l’altro, la nullità ai sensi degli art. 17 e 40 delle legge n. 47 del 28 febbraio 1985 e dell’art. 15 della legge n. 10 del 28 gennaio 1977, anche per illiceità dell’oggetto, del contratto di compravendita con il quale gli attori avevano acquistato un sottotetto trasformato – abusivamente – in un appartamento abitabile.
Il Tribunale di Benevento, con sentenza del 1° marzo 2003, pur confermando l’assunto attoreo circa l’irregolarità urbanistica del bene dedotto in contratto, respinge la domanda di nullità, osservando come nell’atto di compravendita fossero stati ritualmente indicati gli estremi dei titoli abilitativi edilizi in forza dei quali era stato edificato il fabbricato, di cui la mansarda compravenduta costitutiva porzione. Nel motivare la propria decisione il Tribunale di primo grado abbraccia la teoria del carattere c.d. formale della nullità portata dalla disciplina urbanistica, e conferma la massima, costante in giurisprudenza, per cui non assume rilevanza ai fini della validità dell’atto la difformità del bene rispetto al titolo abilitativo edilizio.
La Corte d’Appello di Napoli con Sentenza del 29 giugno 2006 rigetta l’appello incidentale con il quale gli originari attori avevano impugnato la pronuncia di prime cure, ribadendo la richiesta di declaratoria di nullità del contratto di compravendita per illiceità della causa e dell’oggetto. La Corte d’Appello da un lato ritiene insussistente la nullità ex art. 15 della legge 28 gennaio 1977, posto che l’intero fabbricato condominiale era stato pur sempre costruito in virtù di una licenza edilizia e la trasformazione del sottotetto in mansarda va qualificata come “opera difforme da quella consentita”; dall’altra esclude pure la configurabilità di una nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c., dal momento che non può essere individuata come illecita la causa del negozio (compravendita di immobile abusivo). Viene, infatti, osservato che a essere illecita è l’attività di costruzione in assenza di licenza, e non, invece, quella di vendita di un manufatto realizzato in violazione di tali norme.
La Suprema Corte di Cassazione, investita della questione circa la validità del contratto di compravendita sulla base della richiamata normativa urbanistica, non concentra la propria attenzione sul tipo di abuso commesso con la trasformazione del sottotetto in mansarda abitabile; si preoccupa, invece, di evidenziare il carattere sostanziale della nullità derivante dalla violazione della normativa urbanistica, tale cioè da comportare l’invalidità del contratto avente ad oggetto immobili non in regola con le disposizioni urbanistiche, e ciò anche se in atto siano indicati gli estremi dei relativi titoli abilitativi edilizi. Conclude, infine, la Corte, statuendo il principio di diritto per cui il contratto preliminare (sic) che abbia a oggetto un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico non può non essere considerato nullo. Secondo i Giudici di Cassazione, infatti, il fatto che l’art. 40 della legge n. 47 del 18 febbraio 1985 faccia riferimento agli atti che hanno un’efficacia reale immediata, non esclude dal punto di vista logico che non possa essere valido il contratto preliminare il quale abbia a oggetto la stipulazione di un contratto nullo per contrarietà alla legge (1).
II - Con atto notificato il 18 dicembre 2002 M. e O.W. impugnano la Sentenza del Tribunale di Prato che aveva rigettato la domanda diretta a ottenere la declaratoria di nullità o di annullamento o di risoluzione di un contratto preliminare di compravendita del giorno 11 febbraio 1987, che non era stato possibile eseguire, con la stipulazione del definitivo nei termini convenuti, in quanto il bene dedotto in contratto presentava irregolarità urbanistiche di cui gli attori – promittenti acquirenti erano venuti a conoscenza solo in un secondo momento.
La Corte d’Appello di Firenze osserva come la nullità di cui alla legge n. 47 del 28 febbraio 1985 (applicabile ratione temporis) per le fattispecie relative a immobili privi della concessione edificatoria trovi applicazione ai soli atti di trasferimento e non possa essere estesa ai contratti con efficacia obbligatoria, come è il preliminare di vendita.
Per la Cassazione di tale sentenza ricorrono M. e O.W. chiedendo se, nel caso di immobile oggetto di abusi edilizi, l'assenza della domanda di concessione in sanatoria e del versamento della prescritta oblazione configuri una nullità sostanziale del contratto definitivo di compravendita, in virtù delle previsioni implicite della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, art. 40 e se l'accertata impossibilità - al momento della conclusione del preliminare - conseguente alla suddetta nullità sostanziale, di stipulare un valido atto di trasferimento dell'immobile oggetto di abusi edilizi, renda invalido anche il contratto preliminare che a tale trasferimento obbliga le parti.
La Suprema Corte di Cassazione, confermando, con le medesime motivazioni, l’innovativo orientamento assunto con la sentenza 17 ottobre 2013, n. 23591, sottolinea nuovamente il carattere sostanziale della nullità di cui alla richiamata normativa urbanistica, e da ciò desume la nullità anche dei contratti preliminari che abbiano ad oggetto immobili abusivi. I Giudici di Cassazione osservano nuovamente che, sebbene l’art. 40 della legge n. 47 del 18 febbraio 1985 faccia riferimento agli atti che hanno un’efficacia reale immediata, ciò non esclude dal punto di vista logico che non possa essere valido il contratto preliminare il quale abbia a oggetto la stipulazione di un contratto nullo per contrarietà alla legge (2).
2. Nullità formale e nullità sostanziale nella dottrina...
Con due sentenze (le prime due citate) a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, la Suprema Corte torna sulla delicata questione dei limiti alla circolazione dei diritti reali immobiliari posti dalla normativa in materia urbanistica. Le due pronunce in esame appaiono di notevole importanza per due ordini di ragioni.
In primo luogo esse, mutando quello che sino a oggi era stato il costante orientamento della giurisprudenza, pervengono, nei ragionamenti della parte motivazionale, ad abbracciare la teoria della natura c.d. sostanziale della nullità disegnata dalla normativa urbanistica, abbandonando l’idea, precedentemente sostenuta, del suo carattere meramente formale.
In secondo luogo esse sembrano pervenire a estendere l’applicazione della sanzione della nullità - prevista per gli atti aventi a oggetto immobili abusivi (3) e concepita dal legislatore per fattispecie a efficacia reale a negozi giuridici, quali i contratti preliminari propri - come tali a rilevanza meramente obbligatoria - che fino ad oggi dottrina e giurisprudenza sostanzialmente unanimi avevano ritenuto estranei all’ambito di operatività della normativa in parola (4).
Prima di tentare un approccio alla problematica che ruota attorno al rapporto tra contratto preliminare e normativa urbanistica, non possono in questa sede essere omesse alcune considerazioni attorno all’asserita natura sostanziale della nullità prevista dalla normativa in esame. La rilevanza sostanziale dell’invalidità dei contratti aventi a oggetto immobili abusivi, sembra, infatti, venire elevata dalla giurisprudenza di cassazione quale premessa maggiore del sillogismo che porta a ritenere nulli anche i contratti preliminari, ove riguardino immobili irregolari dal punto di vista urbanistico.
Secondo la tradizionale tesi della nullità c.d. formale (5), per escludere l’invalidità ai sensi dell’art. 17 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 (ora art. 46 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001) dell’atto negoziale, basterebbe solo un accertamento, di natura per l’appunto squisitamente formale, circa la presenza o meno in atto, per dichiarazione dell’alienante, delle menzioni richieste dalla legge (6). Secondo la tesi della nullità sostanziale, viceversa, per escludere la nullità dell’atto, sarebbe necessario anche accertare se la dichiarazione di cui si dice risponde alla realtà ovvero sia veritiera, con la conseguenza che tutte le volte in cui ci si trovi in presenza di una dichiarazione urbanistica mendace, l’atto, nato apparentemente valido, perderebbe la sua legittimità, poiché quella dichiarazione sarebbe per legge come non esistente (7). Tra i fautori di quest’ultima opzione ricostruttiva suole poi operarsi un’ulteriore distinzione tra quanti ritengono l’immobile incommerciabile solo ove l’abuso e, quindi, la difformità della situazione di fatto rispetto al titolo edilizio menzionato in atto, sia particolarmente grave (id est assenza di concessione, totale difformità) (8); e quanti ritengono incommerciabile il bene anche in presenza di abusi di minore gravità quali quelli riconducibili alle variazioni essenziali (9).
All’entrata in vigore della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, in particolare, un primo nucleo di interpreti si è preoccupato di sottolineare come requisito necessario e sufficiente per la validità degli atti traslativi – costitutivi di diritti reali (o di scioglimento della comunione sugli stessi) contemplati dalla normativa edilizio-urbanistica sia la sola dichiarazione in atto dell’alienante relativa agli estremi del titolo abilitativo edilizio, eventualmente anche in sanatoria (10). L’unica preoccupazione del notaio sarebbe, quindi, quella di riportare in atto, su dichiarazione di parte, gli estremi dei titoli abilitativi edilizi che hanno interessato l’immobile negoziato (ovvero la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all’art. 40 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 per gli immobili la cui costruzione sia iniziata anteriormente al 1° settembre 1967); e questo perché unico requisito di validità dell’atto sarebbe la sola formale menzione dei detti titoli, mentre nessuna conseguenza in punto di nullità avrebbe la falsità della menzione, in quanto riferita a provvedimento inesistente, ovvero la difformità dell’opera dalla stessa (11).
Secondo questa impostazione, quindi, gli atti caratterizzati dalla presenza di dichiarazioni urbanistiche non conformi al vero non potrebbero essere considerati nulli; ciò, infatti, da un lato comporterebbe un’eccessiva compressione della libertà delle parti; dall’altra imporrebbe sproporzionati oneri di controllo e verifica a carico delle stesse; infine la dichiarazione del venditore, seppur mendace, innesca una serie di affidamenti in relazione alla validità dell’atto, che il legislatore ha ritenuto tutelabili, affidamenti che rischierebbero di venire pregiudicati ove la falsità della dichiarazione potesse influire sulla validità del titolo (12).
La parte prevalente degli interpreti, fin dall’entrata in vigore della normativa sul primo condono, si è, tuttavia, preoccupata di evidenziare gli esiti non condivisibili ai quali l’interpretazione rigorosamente formale della disciplina urbanistica porterebbe: sarebbe sufficiente, infatti, che l’alienante indicasse un titolo abilitativo inesistente per salvaguardare la validità dell’atto e frustrare così le esigenze di contrasto all’abusivismo edilizio avuti di mira dal legislatore con l’introduzione della disciplina in parola. Gli obiettivi perseguiti andrebbero, infatti, ricercati non solo, come pur sostenuto dai fautori della tesi formalistica, nella necessità di fornire un’esatta informazione circa la qualità urbanistiche del bene negoziato all’acquirente, in modo tale che questi possa essere messo in condizioni di verificarle (13); ma anche, e soprattutto, nell’esigenza garantire che gli immobili nascano e si trasmettano soltanto se privi di determinati caratteri di abusivismo (14).
Con la conseguenza che l’atto dovrebbe essere considerato nullo non soltanto ove, sotto il profilo formale, manchino le menzioni urbanistiche; ma anche allorquando queste, pur esistenti, risultino non veritiere (15), rimanendo aperta la questione circa il grado di difformità tra opera e titolo abilitativo che rilevi ai fini dell’invalidità. La normativa, in altre parole, andrebbe interpretata nel senso che le dichiarazioni richieste dalla legge debbono per lo meno essere conformi al vero(16).
In altre parole, la nullità non deriverebbe dalla sola omissione (di carattere formale) da parte dell’alienante delle menzioni urbanistiche richieste dalla legge; bensì essa colorerebbe il negozio traslativo-costitutivo o divisorio ogni qual volta abbia a oggetto un edificio (o una sua parte) abusivo. Questo assunto viene motivato sulla base dall’inaccettabilità della conclusione cui si dovrebbe altrimenti giungere, in ordine alla validità dell’atto ove l’alienante vi inserisca una dichiarazione (a questo punto necessariamente non veritiera) contenente gli estremi di una concessione inesistente o comunque riferita ad altro bene (17).
L’impostazione di matrice tendenzialmente sostanziale cui si è fatto qui riferimento è stata condivisa anche dal Consiglio Nazionale del Notariato nella circolare esplicativa formulata all’entrata in vigore della legge n. 47 del 28 febbraio 1985. Viene in quella sede sì rilevato come gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria sono forniti dall'alienante senza alcun obbligo di controllo né da parte dell'acquirente né da parte del notaio, essendo sufficiente per la validità dell'atto la dichiarazione dell'alienante. Ma viene altresì sottolineato come non appaia immaginabile che tale dichiarazione sia di per sé sufficiente a reggere la validità dell'atto pure in presenza di falsa od erronea enunciazione degli estremi di concessione, potendo l'atto essere ugualmente nullo una volta accertata la falsità dell'enunciazione (18) .
La tesi è stata poi ripresa e sviluppata dallo stesso Consiglio Nazionale del Notariato in un ulteriore intervento sul punto (19). Da un lato viene rilevato come la natura formale del vizio - e quindi la sua minor pregnanza – porterebbe non solo a qualificare la carenza di dichiarazione (purché coperta dall'esistenza del provvedimento concessorio) come ipotesi di semplice inefficacia del negozio, superabile con una corretta dichiarazione successiva, e quindi non come convalida di nullità del negozio stesso; ma indurrebbe, come visto, a ritenere assolto l'obbligo formale di dichiarazione, con conseguente validità del negozio, anche nel caso di enunciazione di estremi di licenza o concessione erronei o falsi.
Dall’altro si evidenzia come la natura sostanziale del vizio, da altri prospetta, finirebbe per dilatare l'area della invalidità, fino a ricomprendere ogni ipotesi di commercializzazione di edifici o loro parti urbanisticamente non regolari, con riferimento alla licenza o concessione.
Entrambe le tesi paiono al Consiglio Nazionale del Notariato, nella richiamata circolare, criticabili, in quanto non contempererebbero i due principi ispiratori della legge: della incommerciabilità relativa e della moderata tutela del traffico giuridico. In particolare la tesi della natura sostanziale dell’invalidità esaspererebbe le ragioni della tutela urbanistica, disconoscendo praticamente ogni esigenza di tutela del traffico giuridico. La tesi formalistica, per converso, finirebbe per privilegiare una radicale protezione del traffico giuridico, che invece sembra porsi semplicemente come esigenza di contenimento dell'interesse primario di tutela della regolarità urbanistica del bene.
In realtà aspetti formali e aspetti sostanziali del vizio sono inestricabilmente connessi. La mancata menzione del provvedimento, ovvero la falsa indicazione dei suoi estremi, costituiscono per sé soli vizio formale. Infatti, anche ragionando in termini di mera forma, una menzione non vera equivale a mancanza di enunciazione, salvo ripiegare su un’inaccettabile nozione di formalismo fine a sé stesso. È soltanto l'aspetto sostanziale, tuttavia, che permette di spiegare perché il vizio in certi casi sia sanabile con la convalida, e in altri no.
In altri termini la mancanza e la falsità delle indicazioni richieste dagli artt. 17 e 40 nella portata giuridica che se ne è data, qualora esista licenza o concessione, e non si sia in presenza di totale difformità, rende il negozio nullo solo per ragioni formali e quindi convalidabile. Qualora invece difettino tali presupposti, la violazione è sostanziale e assorbe quella formale, rendendo il negozio invalido e non convalidabile (20).
3. … (segue) e nella giurisprudenza
La giurisprudenza, fin dai suoi primi interventi, si è, invece, caratterizzata per una lettura maggiormente rigorosa e letterale delle disposizioni di legge in materia di validità degli atti, abbracciando, senza notevoli differenziazioni, una valutazione di tipo formalistico della nullità in esame (definita “testuale e documentale e non virtuale”), da ricondurre, in altre parole, alla mera assenza delle menzioni urbanistiche e non anche alla loro falsità.
In più occasioni la Suprema Corte, ha avuto modo di affermare che la disciplina urbanistica sulla validità degli atti non prende in considerazione l'ipotesi della conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione. Ciò in quanto la nullità del contratto è prevista a prescindere dalla regolarità dell'immobile che ne costituisce l'oggetto ed ha il fine di disincentivare l'abusivismo nonché di soddisfare l'esigenza di tutela dell'affidabilità dell'acquirente. Questi deve essere posto in grado di conoscere esattamente le condizioni del bene acquistato e di poter più agevolmente effettuare accertamenti sulla regolarità dell’immobile attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dagli atti (concessione edilizia, ovvero domanda di concessione in sanatoria con estremi dei relativi versamenti) obbligatoriamente indicati nel negozio (21).
La natura meramente formale della nullità sarebbe, inoltre, confermata dall’indiscussa nullità del contratto che, pur avendo ad oggetto un immobile regolare dal punto di vista urbanistico, manchi delle dichiarazioni prescritte dalla legge (22).
La tesi diretta ad attribuire rilevanza anche al dato sostanziale, ossia alla regolarità effettiva del bene oggetto dell’atto, a prescindere dalla (necessaria) esistenza delle dichiarazioni di legge, viene respinta dai giudici di legittimità sulla base dell’assunto che, se il legislatore avesse voluto attribuire diretta rilevanza alla non conformità dei beni alla normativa urbanistica, con o senza il filtro della prescrizione di forma, si dovrebbe finire per considerare valido, al di là delle indicazioni, l'atto che riguardi beni comunque in regola con le norme urbanistiche, in questo modo, tuttavia, svuotando la portata precettiva delle disposizioni in commento, poiché risulterebbe ingiustificata la previsione della conferma contenuta negli artt. 17 e 40; inoltre, si finirebbe per vanificare l'apprezzabile tentativo operato dal legislatore di trovare una soluzione che non solo costituisca uno strumento di lotta contro l'abusivismo, ma che soddisfi anche l'interesse dell'acquirente alla (esatta) conoscenza delle condizioni del bene oggetto del contratto (23).
Addirittura la tesi della rilevanza meramente formale delle c.d. menzioni urbanistiche è ribadita da una recentissima pronuncia della Suprema Corte avente ad oggetto la veridicità della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà circa l’anteriorità al 1° settembre 1967 dell’inizio della costruzione dell’immobile dedotto in contratto (24). In tale occasione la Corte di Cassazione ha sostenuto che l'art. 40, 2° comma, della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 (25), preveda un’ipotesi di nullità formale e non sostanziale, in quanto per la validità del contratto è necessaria unicamente l'esistenza dell'autodichiarazione urbanistica dell'alienante e non la veridicità della stessa, né possono estendersi per analogia i tassativi casi di nullità previsti dalla citata norma.
Con la Sentenza del 17 ottobre 2013, n. 23591 la Suprema Corte asserisce di voler mutare orientamento, abbracciando quella che fino ad ora era stata la tesi di fatto assente in giurisprudenza della c.d. nullità sostanziale e concludendo per la nullità del contratto oggetto del giudizio di merito, in quanto avente a oggetto un immobile urbanisticamente irregolare.
Nel giungere a queste conclusioni, tuttavia, i giudici di legittimità non si preoccupano di effettuare alcuna considerazione in ordine alla natura e alla rilevanza dell’abuso che nel caso concreto caratterizzava il bene dedotto in contrato.
A sostegno di questa impostazione viene in primo luogo fatto riferimento a una supposta motivazione di carattere logico: viene osservato che se lo scopo del legislatore è quello di rendere incommerciabili gli immobili urbanisticamente irregolari, esso risulterebbe frustrato dalla rilevanza meramente formale della nullità; verrebbe altrimenti consentita, cioè, in presenza di menzioni urbanistiche, la valida alienazione di immobili anche ove non conformi ai titoli abilitativi citati, rimettendo alla disponibilità delle parti la scelta dei rimedi con cui reagire alla difformità che, secondo l’impostazione tradizionale, andrebbero ricercati nella disciplina dell’inadempimento. Limitando la tutela per la parte acquirente solamente a quella fornita dall’istituto dell’inadempimento, verrebbe, inoltre, vanificato lo scopo del legislatore che con la novella del 1985 avrebbe inteso inasprire il previgente regime la cui disciplina era contenuta dell’art. 15 legge 10 gennaio 1977 (26).
Infine la Suprema Corte ritiene di poter desumere il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge la nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi dalla “non perfetta formulazione” della disposizione portata dall’art. 40 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985.
4. Il nuovo orientamento della Suprema Corte
La tesi della nullità formale, così come fatta propria dalla Suprema Corte prima delle due pronunce in oggetto merita, un attento approfondimento, posto che, ove applicata rigidamente, rischierebbe di portare a conseguenze contraddittorie e di vanificare l’intento del legislatore. Occorre, infatti, interrogarsi, sulla reale portata della distinzione operata all’interno della dicotomia nullità formale/sostanziale e ciò cercando di superare questioni che possano apparire meramente nominalistiche. La ratio del legislatore, infatti, non può essere obliterata a favore dell’esclusiva analisi e rilevanza del dato testuale; o, meglio, la lettera delle legge dovrebbe essere interpretata conformemente allo spirito della novella del 1985.
Come si è visto, l’intento perseguito dal legislatore nel dettare la disciplina in materia di urbanistica e atti di trasferimento non può essere ridotto solamente alla protezione dell’interesse particolare dell’acquirente alla conoscenza della situazione urbanistica del bene. Basti qui considerare come, se questo fosse vero, non si spiegherebbe per quale motivo il legislatore abbia ritenuto di adottare, per la violazione degli artt. 17 (ora art. 46 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001) e 40 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, la sanzione della nullità - che, come noto, è strumento posto a tutela di interessi di carattere generale e, come tali, sottratti alla disponibilità delle parti – e non, invece, quella dell’annullamento, che rappresenta, almeno secondo l’impianto tradizionale del codice, lo strumento posto a tutela dell’interesse di una delle parti (e come tale disponibile) e la cui attivazione è subordinata all’impulso della parte stessa (27).
La dimensione pubblicistica e generale dell’interesse protetto sarebbe spiegata anche dal diverso approccio avuto dal legislatore a partire dalla legge n. 47 del 28 febbraio 1985, che segna un mutamento di passo rispetto alla timida prescrizione dell’art. 15 delle legge 28 gennaio 1977 n. 10 che, come visto, attribuiva rilevanza preminente alla conoscenza che l’acquirente avesse dell’irregolarità urbanistica del bene.
Questo non significa che l’interesse del (promittente) acquirente non sia in alcun modo considerato dal legislatore. Tuttavia, s’impone all’interprete di considerare l’interesse dell’acquirente come uno, e forse nemmeno il principale, degli interessi tutelati dalla disciplina urbanistica, la quale avrebbe, invece, quale scopo primario, quello della tutela del territorio e ad un’ordinata e regolare attività di edificazione del suolo, obiettivi che passano necessariamente attraverso un’efficace lotta al fenomeno dell’abusivismo edilizio.
Quanto detto impone di riconsiderare la lettura forse eccessivamente formale che parte, invero minoritaria, della dottrina ha ritenuto di effettuare rispetto agli articoli sulla validità degli atti di trasferimento: nessuno degli interessi di cui sopra troverebbe sostanziale tutela ove l’indicazione di un qualsiasi titolo abilitativo edilizio, quantunque falso o riferito ad altro bene, sarebbe tale da impedire la nullità dell’atto immobiliare.
E’ necessario, in altre parole, per non frustrare gli obiettivi di politica legislativa perseguiti, ritenere che, per considerare rispettate le prescrizioni sulle menzioni urbanistiche, i titoli abilitativi edilizi indicati in atto debbano quanto meno riferirsi al bene negoziato. Vista da un'altra prospettiva, richiedendo la legge la menzione dei titoli edilizi, occorre domandarsi quali siano i requisiti minimi per ritenere che, nel caso concreto, l’atto contenga le menzioni richieste a pena di nullità.
Sicuramente, anche se appare ultroneo ribadirlo in questa sede, il carattere documentale – formale della sanzione in esame impone di ritenere nulli tutti gli atti che non contengano alcuna delle indicazioni richieste dalla legge e ciò anche se gli immobili negoziati siano pienamente in regola con la disciplina urbanistica: la previsione per questi ultimi casi dell’istituto della conferma presuppone, infatti, la loro necessaria invalidità.
Una questione di validità dell’atto sembrerebbe, inoltre, porsi ogni qual volta siano citati i riferimenti di un documento che non possa essere ritenuto un titolo abilitativo edilizio e ciò sia perché falso sia perché, pur veritiero, esso sia invalido o riferito ad altro bene (28).
E’ sulla base di queste affermazioni che dovrebbe poi giungersi a ritenere nulli anche quegli atti che abbiano ad oggetto un bene costruito in totale difformità rispetto al titolo abilitativo edilizio citato dall’alienante. Anche in questo caso, infatti, sembra doversi concludere per la non riferibilità del provvedimento al bene negoziato, con conseguente mancato rispetto, già sul piano formale, delle disposizioni di legge che impongono di indicare i provvedimenti edilizi sulla base dei quali il bene è stato edificato (nello stato in cui si trova al momento del trasferimento).
In altre parole, occorre preoccuparsi non solo che i provvedimenti edilizi siano dichiarati in atto, ma che essi esistano effettivamente e siano riferibili al bene negoziato, così da dover pervenire a equiparare l’esistenza di una concessione non veritiera ovvero non rispondente alla situazione di fatto alla mancata menzione in atto del titolo abilitativo edilizio (29).
Particolarmente delicata ai fini in esame risulta essere la questione che ruota attorno alla rilevanza da riconoscere a eventuali differenze tra quanto assentito con il titolo edilizio e il bene come effettivamente edificato. Com’è noto, il grado di differenza che passa tra l’opera prevista nel programma abilitativo e l’opera realizzata si può esprimere, per rimanere ai casi di irregolarità maggiormente gravi, a seconda della misura della difformità e della qualità dell’opera nuova prodotta, essenzialmente in termini di “totale difformità”, di “parziale difformità” o di “variazione essenziale” (30). A tipologia di abuso corrispondono sanzioni differenti, di natura amministrativa, nonché, nei casi più gravi, di natura penale (31).
Tali differenziazioni assumono rilevanza anche per quanto attiene al trasferimento dei beni immobili. Sotto il profilo della commercializzazione, infatti, la dottrina (soprattutto di parte notarile) è pervenuta alla conclusione che la parziale difformità e la variazione essenziale non determinino l’incommerciabilità del bene, che sarebbe, invece, impedita in caso di intervento edilizio eseguito in totale o assoluta difformità.
Viene fatto notare, infatti, come sia sul piano strutturale sia sul piano delle sanzioni amministrative, la totale difformità equivalga a una mancanza di permesso di costruire; sul piano strutturale, perché l’opera realizzata non corrisponde in modo radicale a quella assentita; sul piano delle sanzioni amministrative, perché opera l’ordine di demolizione e, in caso d’inottemperanza, l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune. Si comprende pertanto come la totale difformità -che, lo si ricorda, presuppone l’esistenza di un permesso di costruire da cui l’opera realizzata però si differenzi in modo radicale - costituisca un abuso da tenere in considerazione e da valutare alla stessa stregua di un abuso derivante dalla mancanza assoluta di permesso di costruire (32).
In altre parole, in presenza di un c.d. abuso primario (che si concreta non solo in caso di edificio costruito in totale assenza di titolo abilitativo edilizio, ma anche in caso di totale difformità dell’opera realizzata rispetto a quanto assentito), non potrà dirsi rispettata la prescrizione di carattere formale che impone negli atti immobiliari a rilevanza reale l’indicazione degli estremi del provvedimento amministrativo autorizzativo dell’opera (33); il che comporterà come necessaria conseguenza, la nullità del negozio traslativo stesso ai sensi dell’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001.
Quanto sopra consente, peraltro, di limitare l’incommerciabilità alle sole ipotesi di totale difformità. Le disposizioni di legge in materia urbanistica non possono, infatti, essere interpretate in maniera tale dal ledere irragionevolmente l’interesse (anche questo di carattere generale) alla certa e sicura circolazione dei diritti reali immobiliari e, per suo tramite, della ricchezza. Ecco quindi che non sarà ogni, anche minima, irregolarità del bene a determinare l’invalidità del negozio giuridico dispositivo, ma solo quella che si traduca in una non riferibilità del provvedimento al bene negoziato.
Quanto detto consente di effettuare alcune considerazioni conclusive in ordine alla Sentenza 17 ottobre 2013, n. 23591. Da un lato può essere apprezzato lo sforzo della giurisprudenza diretto a meglio valutare gli obiettivi perseguiti dal legislatore mediante le prescrizioni in materia di menzioni urbanistiche; nel fare ciò la Suprema Corte si discosta condivisibilmente dall’interpretazione forse eccessivamente formalistica che la precedente giurisprudenza, a differenza della dottrina, aveva abbracciato. Dall’altra, tuttavia, desta qualche perplessità l’iter logico seguito dalla Corte e alcune delle conseguenze che da esso vengono ricavate: c’è il rischio che il ragionamento del Supremo Collegio pervenga negli esiti a ritenere, con una lettura eccessivamente sostanziale della nullità in parola, che ogni irregolarità urbanistica e, quindi, ogni scostamento tra autorizzato e assentito determini, nei fatti l’incommerciabilità del bene. Manca, infatti, nelle motivazioni della sentenza, ogni riferimento alla tipologia di abuso che caratterizza l’immobile oggetto del giudizio e anzi viene ribadito il principio per cui dall’art. 17 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 sarebbe ricavabile la natura sostanziale della nullità ivi prevista.
Ciò non toglie, peraltro, come dalla narrativa emerga che ci si trovi in presenza di un sottotetto trasformato in mansarda, fattispecie che, quanto meno nei limiti in cui il bene trasformato venga trasferito isolatamente rispetto alla rimanente parte dell’edificio, verosimilmente va ascritta all’alveo degli abusi primari integrando, precisamente, gli estremi di una difformità totale (34). Affinché possa essere configurata la totale difformità, infatti, è necessario, tra gli altri requisiti, secondo gli insegnamenti della Suprema Corte, che vi sia la creazione di un organismo autonomo, il che non vuol dire che il corpo debba essere fisicamente autonomo, essendo, invece, sufficiente la possibilità di un uso indipendente, anche se l'accesso al bene sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale (35).
Sarebbe, tuttavia, bastata questa considerazione per giungere a sancire la nullità dell’atto di compravendita (e non, comunque del preliminare), senza quindi che si debba pervenire a considerare a tali fini rilevante ogni scostamento tra quanto edificato e quanto consentito; e ciò, appunto, sulla base della considerazione, se si vuole pur sempre di carattere formale, per cui i titoli abilitativi edilizi menzionati, su dichiarazione dell’alienante, non potevano nel caso concreto riferirsi al bene trasferito, da essi totalmente difforme (36).
Deve quindi ribadirsi nuovamente come la verifica circa la rispondenza tra bene edificato e bene autorizzato, pur necessaria per valutare la riferibilità del titolo edilizio indicato in atto al bene oggetto del medesimo, non possa spingersi fino a ritenere rilevante ogni variazione. Pare, cioè, che solo la totale difformità del bene sia tale da precludere la riferibilità di cui si è fatta sopra parola; negli altri casi, invece, il bene, pur urbanisticamente irregolare, con le conseguenze che ciò comporti, sarà pur sempre commerciabile.
Sulla base di quanto detto si sarebbe quindi verosimilmente potuti pervenire a diverse conclusioni ove oggetto dell’atto di trasferimento fosse stato l’intero fabbricato – unitamente al sottotetto trasformato in mansarda - posto che in tal caso mancherebbe il requisito dell’autonomia del corpo edilizio edificato in difformità; l’abuso avrebbe potuto concretare in altre parole un mutamento di destinazione d’uso, da ricondurre alla variazione essenziale e come tale, sulla base delle argomentazioni sopra riportate, tale da non impedire il valido trasferimento del bene (37).
Va, infatti, confermata in questa sede, la condivisibilità dell’orientamento che legge la normativa urbanistica nel senso di ritenere nullo non ogni contratto avente ad oggetto un immobile irregolare sotto il profilo urbanistico, ma solo quei contratti relativi a beni costruiti in assenza ovvero in totale difformità dal titolo abilitativo edilizio, nell’ambito dei quali, quindi, gli eventuali titoli edilizi menzionati dal venditore non possano in alcun modo essere riferiti al bene dedotto in oggetto.
5. Contratto preliminare e normativa urbanistica: evoluzione del pensiero giurisprudenziale
Le prime due pronunce in esame manifestano la loro portata innovativa anche e, forse, soprattutto nelle statuizioni concernenti il rapporto tra contratto preliminare e normativa urbanistica. La Sentenza 17 ottobre 2013, n. 23591, solo nella massima - giacché, come si è già avuto modo di precisare il caso oggetto del giudizio di merito riguarda in realtà un contratto traslativo definitivo - , e la Sentenza 17 dicembre 2013, n. 28194, sembrano pervenire, infatti, sulla base d’identiche considerazioni, a estendere negli esiti l’applicazione – ratione temporis - degli art. 17 e 40 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 anche a fattispecie negoziali caratterizzate dal prodursi di effetti meramente obbligatori tra le parti, quali sono i preliminari propri.
Prima di approfondire la questione che ruota attorno al rapporto tra il negozio meramente obbligatorio – categoria nella quale, ai presenti fini, non dovranno essere ricomprese le vendite, e contratti equiparati, da taluni definite obbligatorie ma, in realtà, preferibilmente, a efficacia reale differita – e la normativa urbanistica, appare opportuno verificare quelle che sono le conclusioni che sino a oggi dottrina e giurisprudenza hanno maturato sul punto.
In dottrina, fin dall’entrata in vigore della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, non si è mai seriamente dubitato dell’inapplicabilità, quanto meno in via diretta, della normativa urbanistica in punto di circolazione immobiliare al contratto preliminare proprio, e cioè con effetti meramente obbligatori.
A sostegno di questa impostazione milita essenzialmente il dato letterale fornito dalla legge n. 47 del 28 febbraio 1985, con formula poi ripresa dall’art. 46 del d.P.R. 380 del 6 giugno 2001, che parla di atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali su edifici; mentre, come noto, il contratto preliminare comporta per le parti il solo obbligo di manifestare il consenso al definitivo, che finisce per costituire esso solo il titolo per il prodursi della vicenda traslativa (38).
In altre parole, la disciplina dettata dal legislatore per reprimere il fenomeno dell’abusivismo sarebbe destinata a trovare applicazione solo rispetto ai contratti a efficacia reale, tali, cioè, da comportare il verificarsi di una vicenda traslativo-costitutiva, e non anche a quei contratti che, sebbene prodromici, per loro natura non siano destinati, neppure mediatamente, a cagionare la vicenda reale.
In questi termini si è espressa in più occasioni la dottrina, evidenziando come, sebbene i contratti preliminari siano preordinati a un mutamento nella titolarità degli immobili, sono per sé stessi rivolti unicamente alla costituzione di un obbligo a trasferire, e tale loro natura meramente obbligatoria è pacifica in giurisprudenza e quasi unanime in dottrina (39).
Ad analoghe conclusioni era, peraltro, giunta anche la giurisprudenza della Suprema Corte che in più occasioni aveva avuto modo di evidenziare come ai contratti preliminari non potessero trovare applicazione tanto l'art. 17, quanto l'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che, pur nella diversa formulazione, disciplinano entrambi esclusivamente fattispecie di contratti a effetti reali (40).
Se, sulla base di quanto detto, la normativa recata dalla legge n. 47 del 28 febbraio 1985 e successive non pare applicabile al contratto preliminare, occorre, tuttavia, domandarsi se vi siano altre disposizioni nell’ordinamento giuridico che potrebbero inficiare la validità del contratto preliminare avente a oggetto un immobile abusivo. Al riguardo sovviene la disposizione dell’art. 15 della legge n. 10 del 28 gennaio 1977 che, come noto, nel prevedere la nullità degli atti ove da essi non risulti che l'acquirente era a conoscenza della mancanza della concessione, si riferisce genericamente agli “atti giuridici”.
La giurisprudenza di cassazione ha costantemente e condivisibilmente interpretato la locuzione “atti giuridici” come riferibile anche al contratto preliminare (41). L’applicazione di questa disciplina, peraltro, non impedirebbe la stipulazione di un contratto (preliminare) avente a oggetto un immobile abusivo, ma imporrebbe semplicemente, ai fini della validità dell’atto che il (promittente) acquirente fosse a conoscenza dell’abuso e ciò risultasse dall’atto; in questo dimostrando di voler proteggere essenzialmente l’interesse della parte (promittente) acquirente a un consapevole acquisto.
Ai nostri fini non può, tuttavia, omettersi di considerare come le disposizioni di cui all’art. 15 della legge n. 10 del 28 gennaio 1977 siano state interamente sostituite da quelle di cui al capo 1 (artt. da 1 a 23) della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, come espressamente stabilito dall'art. 2 di tale ultima legge. Sennonché la giurisprudenza sembra implicitamente militare a favore di una sorta di ultrattività del predetto art. 15: vi sono, infatti, una pluralità di pronunce che pervengono nei fatti ad applicare la pur abrogata disciplina dettata dalla legge Bucalossi anche a contratti perfezionatisi dopo l’entrata in vigore della legge n. 47 del 28 febbraio 1985(42).
Questo orientamento sembrerebbe essere stato superato da un recente arresto della Suprema Corte che ha correttamente rilevato l’inapplicabilità dell’art. 15 della legge n. 10 del 28 gennaio 1977 a un contratto successivo alla legge n. 47 del 28 febbraio 1985, trattandosi di disciplina ormai abrogata (43), anche se il nuovo corso della Cassazione in materia non può al momento dirsi affatto consolidato (44).
Quanto detto comporta che i preliminari non solo non sono soggetti alle prescrizioni degli art. 17 e 40 della predetta legge n. 47 (né quindi all’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001), in quanto contratti a efficacia obbligatoria; ma anche che per essi, quanto meno quelli stipulati dopo l’entrata in vigore della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, non dovrebbe trovare applicazione nemmeno la norma dettata dall’art. 15 delle legge n. 10 del 28 gennaio 1977, in quanto ormai abrogata.
Infine, in questa sede va solo menzionato come l’art. 6 del d.lgs. n. 122 del 20 giugno 2005 imponga che i contratti a esso soggetti, tra cui spesso vi potranno essere dei preliminari, contengano gli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato, nonché di ogni altro titolo, denuncia o provvedimento abilitativo alla costruzione. Si tratta di una disposizione che risponde a finalità diverse rispetto a quelle fatte proprio dalla legislazione speciale in materia urbanistica. Da un lato la violazione della disposizione e, quindi, la mancata indicazione dei titoli abilitativi edilizi non esporrebbe il contratto a nullità; dall’altra la prescrizione è più estesa di quanto disposto dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 6 giungo 2001, posto che richiede l’indicazione anche della domanda di rilascio del permesso a costruire nonché di ogni altro titolo, anche quindi di minore rilevanza, che abiliti la costruzione (45).
La giurisprudenza di Cassazione, esclusa l’applicabilità al preliminare delle norme in materia urbanistica dettate per il definitivo, e salvo quanto sopra detto con riguardo all’art. 15 della c.d. legge Bucalossi, aveva fino a oggi risolto la questione circa la sorte dei preliminari aventi a oggetto immobili irregolari sotto il profilo urbanistico sul piano dell’inadempimento (46).
Giova a questo punto riprendere le argomentazioni che la Suprema Corte, nella pronuncia 17 dicembre 2013, n. 28194 in commento adduce a sostegno del proprio mutato orientamento, teso in ultima analisi a ricomprendere nell’ambito di applicazione della disciplina urbanistica anche la contrattazione preliminare.
La Corte effettua preliminarmente una serie di ragionamenti volti a suffragare la ricostruzione della nullità prevista dalla disciplina urbanistica in termini di invalidità sostanziale e non già formale, su cui si è già sopra detto. Sotto il profilo logico, viene rilevato come verrebbe frustrata la ratio della legge e l’intento del legislatore ove, assunta la validità del contratto in quanto presenti le menzioni formali, si consentisse alla parti, in presenza di difformità urbanistiche, di assumere l’iniziativa sul piano dell’inadempimento, che, come tale, è nella disponibilità delle parti e potrebbe essere quindi anche fatto oggetto di transazione.
Come si è sopra visto, nell’argomentare in questo modo i giudici di legittimità mirano a superare l’orientamento dominante in giurisprudenza teso a ricondurre le invalidità previste dalla disciplina urbanistica nell’alveo delle nullità meramente formali. Il tentativo di per sé non merita censure e, appare, nei limiti affrontati nel precedente paragrafo e, quindi, purché tramite esso non si pervenga a ritenere rilevante ogni difformità urbanistica, tendenzialmente condivisibile.
Tuttavia, una cosa è individuare la natura dell’invalidità prevista dalla normativa urbanistica; altra cosa è estendere l’applicazione di questa normativa al contratto preliminare. In altre parole, anche ritenendo che ai fini della validità del contratto (definitivo) le menzioni urbanistiche, pur necessarie, non siano sufficienti (in quanto sarebbe comunque indispensabile che il bene sia, anche nella sostanza, regolare), non si riesce a comprendere come tale asserzione debba comportare, quale logica e necessitata conseguenza, l’applicazione della disciplina in oggetto al contratto preliminare e, quindi della sanzione della nullità ivi prevista per i preliminare aventi a oggetto beni urbanisticamente irregolari.
Nemmeno convince l’ulteriore motivo logico richiamato dalla Suprema Corte, che si preoccupa di evidenziare l’irrazionalità della qualificazione in termini prettamente formali della nullità in parola e ciò ove si consideri che il legislatore, con la legge n. 47 del 28 febbraio 1985 ha inteso assumere un regime più severo rispetto a quello disposto dall’art. 15 delle legge n. 10 del 28 gennaio 1977, non potendo più stipularsi un atto avente a oggetto un immobile abusivo e ciò anche se in esso l’acquirente dichiari di essere di ciò a conoscenza.
Va qui ribadito quanto detto poco sopra in ordine alla non condivisbilità del collegamento di consequenzialità logica tra la natura della nullità – sostanziale e non formale - e l’applicabilità della stessa al preliminare avente a oggetto un immobile abusivo. Inoltre, sebbene, ove circoscritto al negozio preliminare, il regime portato dalla legge n. 47 del 28 febbraio 1985 (ove, appunto, non riferito né riferibile ai contratti obbligatori) appaia deteriore rispetto a quello dell’art. 15 della legge n. 10 del 28 gennaio 1977 (che era riferibile anche ai preliminari), ciò non di meno l’abrogazione dell’art. 15 è pur sempre una scelta di politica legislativa: la minor tutela fornita dal nuovo regime normativo in caso di preliminare non può legittimare per ciò solo il superamento del dato letterale fornito dalla legge n. 47 del 28 febbraio 1985 (ora art. 46 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001).
La Corte si richiama poi a considerazioni attinenti alla lettera della legge n. 47 del 28 febbraio 1985. Viene asserito, infatti, che la non perfetta formulazione della disposizione dell’art. 17 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 consente di affermare che dalla stessa è desumibile il principio di carattere generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione ove tali circostanze non risultino dagli stessi.
Infine, viene evidenziata la significatività della previsione in materia di conferma di atti che, pur avendo a oggetto immobili regolari, non contengano le menzioni urbanistiche: conferma che non avrebbe senso se tali atti fossero ab origine validi. Se quest’ultima affermazione appare vera e condivisibile, ove riferita alle fattispecie tipicamente oggetto della normativa urbanistica – i negozi definitivi a carattere costitutivo traslativo – appare, tuttavia, difficile inferire da questa conclusione che “una volta chiarito il punto non può non pervenirsi all’affermazione della nullità di un contratto preliminare che abbia a oggetto la vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico”, considerando anche che il fatto che il contratto preliminare abbia “efficacia obbligatoria, non esclude dal punto divista logico che non possa essere valido il contratto preliminare il quale abbia a oggetto la stipulazione di un contratto nullo per contrarietà alla legge”.
In ultima analisi non sembra che alcuna delle motivazioni e dei ragionamenti effettuati dalla Suprema Corte sia di per sé idonea e determinante al fine di giustificare l’estensione ai contratti a efficacia obbligatoria delle prescrizioni dettate dal legislatore per gli atti comportanti vicende di carattere reale. Può quindi confermarsi l’assunto iniziale, proprio della dottrina dominante e della pregressa giurisprudenza per cui, stante la lettera delle disposizioni in esame, le menzioni urbanistiche e la conseguente sanzione di nullità sono riferibili e riferiti esclusivamente ai contratti a effetti reali.
Non fosse sufficiente la lettera della legge, la medesima conclusione è supportata anche da una lettura sistematica delle norme dettate in materia e dall’adeguata considerazione della ratio che ha spinto il legislatore a intervenire sul punto. Se, difatti, la disciplina in parola appare diretta a contrastare l’abusivismo edilizio e a limitare la circolazione di diritti reali immobiliare riferiti a immobili abusivi, la ratio è rispettata anche ove le limitazioni vengano circoscritte ai soli contratti a effetti reali. Diversamente si finirebbe per comprimere irragionevolmente l’autonomia privata delle parti che, ad esempio, legittimamente si potrebbero impegnare a compravendere un immobile sì abusivo al momento del perfezionamento del contratto preliminare, ma da regolarizzarsi, in vista del definitivo.
In senso contrario, e cioè per l’estensione dell’applicazione della normativa urbanistica ai contratti con effetti meramente obbligatori, non varrebbe nemmeno far leva sull’eseguibilità del contratto preliminare ai sensi dell’art. 2932 c.c. (47), che dovrebbe, per ciò stesso, avere tutte le menzioni richieste dalla legge per il definitivo. E ciò non solo e non tanto perché, come pur è stato fatto notare, l’esecuzione in forma specifica è consentita dalla legge purché “sia possibile e non sia escluso dal titolo” (48); quanto, piuttosto, perché l’effetto reale è da ricondurre e imputare direttamente alla pronuncia costitutiva, ed è questo provvedimento, e non il preliminare, che deve contenere le menzioni previste dalla legge, in primis quelle urbanistiche. E proprio in quest’ottica la giurisprudenza, con un orientamento supportato anche da una pronuncia della Sezioni Unite, ammette, in vista della sentenza costitutiva del diritto in capo al promittente acquirente, la possibilità di integrare nel corso del giudizio la documentazione urbanistica richiesta dalla legge (49).
Asserire che la disciplina urbanistica, dettata per gli atti a effetti reali immobiliari, trovi applicazione anche ai contratti preliminari comporterebbe, peraltro, non solo la nullità - di natura sostanziale - di quei negozi preliminari aventi a oggetto immobili irregolari sotto il profilo urbanistico; ma anche, e ancor prima, l’invalidità, che si è sopra ritenuto di definire formale, di tutte quei preliminari che, pur avendo a oggetto immobili del tutto regolari sotto il profilo della disciplina urbanistica, non contengano, per dichiarazione del promittente venditore, l’indicazione dei titolo abilitativi edilizi.
Questa conclusione, per più versi non condivisibile, comporterebbe anche, ove accolta, la difficile collocazione sistematica e giustificazione razionale dell’abrogata disposizione di cui all’art. 47 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, che, attribuiva un diritto di documentazione a colui che avesse stipulato un contratto preliminare di vendita con sottoscrizioni autenticate. L’art. 47 della citata legge aveva, infatti, come verosimile, ancorché non necessario, presupposto la circostanza che al momento del preliminare le parti non avessero ancora recuperato ovvero verificato compiutamente la documentazione urbanistica relativa al bene oggetto del contratto (50). Il che sarebbe pienamente conforme alla natura da più parti riconosciuta al preliminare quale negozio con funzione di controllo delle sopravvenienze(51).
Deve, quindi, confermarsi l’assunto iniziale circa l’inapplicabilità in via diretta al contratto preliminare della disciplina urbanistica, con l’importante conseguenza della non obbligatorietà in sede di preliminare delle menzioni urbanistiche, la cui assenza o non veridicità non potrà mai comportare la nullità, sotto il profilo formale, del contratto stesso.
6. Rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo alla luce della normativa urbanistica
Vi è un punto, tuttavia, nel ragionamento della Suprema Corte, che merita un’attenta valutazione e un supplemento d’indagine; esso va rinvenuto nell’asserzione che l’invalidità del preliminare avente a oggetto un immobile abusivo deriverebbe dall’essere il contratto nullo per contrarietà alla legge.
Se, infatti, si è sopra esclusa, l’applicabilità diretta ai contratti obbligatori degli artt. 17 (ora art. 46 del d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001) e 40 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 (52), non può non di meno essere obliterato il forte collegamento e nesso di interdipendenza che per loro stessa natura lega contratto preliminare e contratto definitivo, dovendosi, quindi, nei termini e nei limiti che si cercherà sommariamente di indicare appresso, apprezzare una possibile interferenza della disciplina urbanistica anche rispetto alla contrattazione preliminare. E ciò, si badi, non in termini di applicazione diretta della sanzione di nullità portata dalle più volte citate disposizioni di legge, bensì valutando la possibile influenza della disciplina urbanistica sul profilo dell’oggetto del preliminare.
Nell’effettuare questa valutazione si ritiene di dover distinguere diverse situazioni che possono manifestarsi allorquando sia dedotto quale oggetto di un contratto preliminare un immobile non in regola sotto il profilo urbanistico. Appare in particolare necessario distinguere il caso in cui le parti abbiano elevato a oggetto del futuro trasferimento un immobile voluto e considerato come abusivo, dal caso in cui in cui le parti abbiano dedotto in contratto un immobile urbanisticamente irregolare al momento della stipulazione preliminare, in vista, tuttavia, di una sua regolarizzazione in termini utili per il definitivo; dovendosi ulteriormente distinguere nell’ambito di quest’ultima fattispecie paradigmatica il caso in cui l’eventuale mancata regolarizzazione sia imputabile alla parte cui vi era tenuta, dal caso in cui essa, invece, dipenda dal fatto alla medesima non imputabile. Dalle differenti situazioni qui sopra esemplificate, infatti, sono destinate a discendere diverse conseguenze in ordine alla validità e alle conseguenze effettuali del preliminare.
In primo luogo va considerata la situazione che si verifica nei casi in cui contratto preliminare si riferisca ad un bene che sia affetto da abusi edilizi (di gravità tale da comportare la nullità del definitivo ex art. 46 d.P.R. n. 380/2001) al momento della sua conclusione, e sia consapevolmente e volontariamente dedotto in contratto dalle parti, anche in vista del definitivo, come abusivo; in altre parole, oggetto del futuro obbligo di trasferimento è, per volontà delle parti, un bene espressamente considerato nella sua (grave) irregolarità urbanistica.
Nella fattispecie qui prospettata sembrerebbe, invero, doversi convenire in ordine alla valutazione in termini di nullità del contratto preliminare. Invalidità che discenderebbe però, non tanto dalla violazione diretta della disciplina urbanistica (e quindi dalla mancanza della menzione dei titoli abilitativi edilizi); bensì in applicazione della disciplina generale sul contratto e precisamente delle norme che disegnano i requisiti dell’oggetto del contratto ovvero, preferibilmente, della prestazione (artt. 1346 e 1418 c.c.) (53). La considerazione del bene affetto da irregolarità tali da impedirne il futuro trasferimento sembra, infatti, integrare un caso di oggetto giuridicamente impossibile (54).
La nullità del preliminare, in questi casi, andrebbe affermata anche ove si accedesse alla lettura che ricostruisce l’invalidità derivante dalla normativa urbanistica in termini di nullità formale. Per la validità del contratto definitivo sarebbe, infatti, sufficiente, ma pur sempre necessario, che il venditore citasse in atto gli estremi dei titoli edilizi relativi al bene dedotto in oggetto; tuttavia, trattandosi di bene affetto da abuso primario (in ipotesi edificato in assenza totale di titolo abilitativo edilizio), non potrà, a nostro avviso, che trattarsi di dichiarazione non veritiera. Con la conseguenza che dal contratto preliminare di bene – consapevolmente – considerato come abusivo, dovrebbe discendere l’obbligo per il promittente venditore di rendere una dichiarazione non veritiera in sede di definitivo. Obbligo che l’ordinamento non può riconoscere e tutelare e che induce a ritenere il predetto impegno permeato di illiceità.
A queste conclusioni sembrerebbe, peraltro, doversi giungere non solo quando la regolarizzazione del bene fosse impossibile, essendo assenti i relativi presupposti di legge; ma anche allorquando la regolarizzazione fosse astrattamente possibile, giacché le parti hanno inteso disporre del bene come abusivo, escludendosi ogni obbligo di adeguamento in capo al promittente venditore. Del resto nel caso qui prospettato non vi sarebbe spazio alcuno per l’applicazione della disciplina in materia di inadempimento, posto che le parti hanno inteso escludere la regolarizzazione urbanistica del bene, facendo quindi venire meno il presupposto primo dell’inadempimento: l’esistenza di un’obbligazione.
Va da sé che quanto detto non comporta la nullità del contratto preliminare nell’ambito del quale le parti si siano impegnate al futuro trasferimento di un immobile abusivo, tutte quelle volte in cui le irregolarità urbanistiche non siano di gravità tale da incidere sulla commerciabilità del bene, dovendosi in questo caso escludere l’impossibilità dell’oggetto del contratto.
In modo opposto andrà, invece, valutata la fattispecie, che potremmo definire fisiologica, del contratto preliminare che abbia a oggetto un bene che al momento della sua conclusione sia affetto da abusi edilizi (anche di gravità tale da comportare la nullità del definitivo), ma sia ciò non di meno dedotto in contratto in vista del definitivo come se fosse in regola sotto il profilo urbanistico. In altri termini, anche se al momento del preliminare il bene dovesse essere abusivo, le parti hanno, anche implicitamente, voluto impegnarsi al trasferimento di un bene che, al momento del prodursi dell’effetto reale dovrà essere urbanisticamente in regola o, quanto meno commerciabile; e ciò vuoi a seguito del positivo esperimento di una pratica di condono edilizio ovvero di accertamento di conformità, vuoi attraverso la programmata demolizione delle opere abusive.
In questo caso dal contratto preliminare è destinato a derivare per il promittente venditore non solo l’obbligo di prestare, nei termini di cui al contratto, il proprio consenso al definitivo con efficacia traslativa; ma graverà pure sul medesimo l’obbligo, se si vuole necessariamente prodromico, di attivarsi a ciò che il bene dedotto in contratto sia conforme alla normativa urbanistica al momento del contratto definitivo (quanto meno nei limiti tali da consentirne la trasferibilità) (55).
Quanto detto, peraltro, non sembra debba mutare a seconda che una o entrambe le parti ignorassero al momento del preliminare l’esistenza di abusi. Ciò dal momento che deve ritenersi in ogni caso ricompreso (ove non risulti espressamente il contrario (56)) nell’impegno della parte promittente venditrice, quello di trasferire un bene immune da vizi ovvero da oneri che ne diminuiscano il godimento, tra i quali ricomprendere anche le irregolarità di natura urbanistica (57).
Ora, occorre interrogarsi sulle conseguenze che possono prospettarsi nel caso in cui, nei termini previsti dal contratto, il bene non risulti regolare sotto il profilo urbanistico.
Sul punto, non presenta particolari difficoltà l’analisi della situazione che ricorre quando la regolarizzazione del bene fosse giuridicamente possibile ed essa sia mancata a causa dell’inerzia del promittente venditore, che non si sia attivato affatto o comunque con la diligenza richiesta, al fine di dare impulso all’attività della Pubblica Amministrazione e alla sua positiva conclusione. Il caso sarà regolato dalla disciplina dell’inadempimento contrattuale.
Intanto potrà parlarsi di inadempimento, tuttavia, in quanto ci si trovi in presenza di un contratto in alcun modo qualificabile come nullo. Invero, la validità del preliminare deve essere confermata anche se il permanere della violazione della normativa urbanistica comporti la giuridica impossibilità di stipulare il contratto definitivo. Questo sia perché il preliminare ha sempre avuto un oggetto lecito e possibile (la futura vendita di un immobile regolare urbanisticamente); sia perché la regolarizzazione dello stesso (e quindi la possibilità di stipulare un valido contratto definitivo) era concretamente possibile e non ha avuto luogo per fatto imputabile al promittente venditore (58).
Quanto detto sarà vero anche nei casi in cui l’irregolarità urbanistica non sia di natura tale da precludere il trasferimento del bene. Il diverso grado dell’abuso potrà semmai incidere nella valutazione in ordine alla non scarsa importanza dell’inadempimento richiesta, ai fini della risoluzione, dall’art. 1455 c.c.
A conclusioni analoghe e cioè nel senso di escludere la nullità del preliminare, sembra doversi giungere anche ove il bene rimanga non commerciabile nonostante la diligenza impiegata dal promittente venditore per regolarizzarne la situazione urbanistica, ma solo allorquando la stessa sia impedita da un provvedimento (di diniego) della pubblica amministrazione frutto dell’esercizio del suo potere discrezionale, non, invece, quando al momento del preliminare sussista già l’oggettiva e assoluta impossibilità di ottenere la regolarizzazione del bene e consentirne così la commerciabilità.
Il contratto, in altre parola, dovrà ritenersi valido tutte quelle volte in cui al momento della sua stipulazione manchi l’oggettiva certezza circa l’insanabilità dell’abuso, che consegua, invece, a un provvedimento della Pubblica Amministrazione non oggettivamente e assolutamente prevedibile al momento del preliminare. In questo caso la vicenda andrà ricondotta e risolta conformemente ai principi che regolano l’inadempimento e non l’(in)validità del contratto. Il promittente venditore si è, infatti, assunto – anche implicitamente - l’impegno di regolarizzare il bene e non pare che a seconda delle cause della mancata regolarizzazione, dipenda essa cioè dalla mera inerzia dell’obbligato ovvero da un provvedimento di diniego, non oggettivamente prevedibile, della Pubblica Amministrazione, entrambi, peraltro, valutabili solo al momento del definitivo, possa giungersi a conseguenze differenti e cioè a ipotizzare nell’un caso un preliminare valido ma inadempiuto, nell’altro caso un preliminare nullo (59).
In presenza di un provvedimento della Pubblica Amministrazione, non prevedibile con oggettiva certezza al momento del preliminare, che neghi al richiedente la regolarizzazione urbanistica del bene promesso in vendita affetto da abusi primari, ci si troverà quindi in presenza di un inadempimento oggettivo e (tendenzialmente) definitivo derivante da impossibilità sopravvenuta della prestazione (60).
La questione andrà quindi risolta conformemente ai principi che governano il rapporto obbligatorio e, segnatamente, sulla base di quanto disposto dall’art. 1218 c.c. Con la conseguenza che l’impossibilità sopravvenuta (oggettiva e definitiva) non estinguerà l’obbligazione tutte le volte in cui essa sia comunque imputabile al promittente venditore: il rapporto obbligatorio continuerà sotto forma di obbligo del promittente venditore di risarcire il danno patito dal promittente acquirente e troverà applicazione la disciplina dettata dagli artt. 1453 ss. c.c..
Viceversa l’impossibilità sopravvenuta (oggettiva e definitiva) non imputabile al debitore – promittente venditore comporterà l’estinzione dell’obbligazione del promittente venditore e, trovandoci in presenza di un contratto a prestazioni corrispettive, la risoluzione del medesimo ai sensi degli artt. 1463 ss. c.c. (61). Questa circostanza potrebbe lasciare il promittente acquirente privo di ogni rimedio risarcitorio, a meno che non sia dato intravedere i presupposti della culpa in contrahendo(62).
Potrebbe anche rinvenirsi nel caso concreto la configurabilità di una posizione di garanzia (convenzionale) in capo al promittente venditore, che possa quindi essere chiamato in ogni caso a rispondere delle conseguenze derivanti dalla mancata conformità del bene alla disciplina urbanistica. La giurisprudenza del resto non richiede che il patto di garanzia risulti espressamente dal contratto, posto che esso funge spesso da sottinteso da cui il giudice prende le mosse (63).
Quanto sopra potrebbe non escludere, peraltro, la facoltà del promittente acquirente di esperire, ove ne sussistano i presupposti, le azioni di annullamento del contratto per dolo o per errore, con conseguente diritto al risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo; ovvero, anche senza esperire l’azione di annullamento, l’azione per il risarcimento del danno ove il dolo si configuri come incidente e non determinante (circostanza che presuppone comunque, in questo caso, il carattere non primario degli abusi che, altrimenti, impedirebbero la commercializzazione del bene).
Le conseguenze saranno tuttavia, diverse ogni qual volta, ancorché ex post, risulti che all’epoca del preliminare mancassero in modo oggettivo e assoluto i presupposti per la regolarizzazione del bene: non potrà non pervenirsi in questa sede a qualificare comunque il contratto nullo per impossibilità originaria dell’oggetto(64). Questo anche se le parti ignorassero l’impossibilità di sanare l’abuso che incideva sul bene oggetto del contratto: l’impossibilità causa di nullità del contratto va, infatti, valutata esclusivamente sotto il profilo oggettivo e non soggettivo (65).
La nullità del preliminare, tuttavia, potrà essere verosimilmente accertata solo una volta (inutilmente) compiutosi il termine previsto per la stipulazione del contratto definitivo. Al caso di specie sembra, infatti, potersi applicare il disposto di cui all’art. 1347 c.c. che, come noto, stabilisce la validità del contratto sottoposto a condizione sospensiva o termine iniziale se la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine (66).
La disposizione normativa in parola esprimerebbe il principio (evocato anche dall’art. 1256 c.c. in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione) per cui l’impossibilità (originaria) della prestazione andrà valutata solo nel momento in cui questa dovrà essere eseguita e non nel momento in cui essa sia sorta. Con la conseguenza che l’impossibilità di dare attuazione all’impegno traslativo assunto dalle parti in sede di preliminare andrà verificata non tanto al momento del suo sorgere ma anche, e soprattutto, al momento in cui, scaduto il termine per il definitivo, esso dovrebbe avere attuazione: anche nei casi di abusi maggiormente gravi e obiettivamente insanabili non può escludersi, ad esempio, una modifica legislativa che consenta la sanatoria del bene e, conseguente, la stipulazione del definitivo(67).
Non può, peraltro, omettersi in questa sede di considerare come il carattere abusivo e non sanabile del bene non comporti necessariamente l’impossibilità assoluta del suo trasferimento.
Si veda, a titolo esemplificativo, quanto disposto dall’art. 33 d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2001 in materia di interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, ove si dispone che, qualora il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecuniaria (68).
Ancora, l’esito negativo del procedimento di regolarizzazione non è destinato necessariamente a impedire il trasferimento (almeno parziale) del bene promesso in vendita. Si consideri il caso in cui il bene sia solo parzialmente abusivo. In questa situazione il mancato ottenimento del provvedimento di regolarizzazione non osterebbe di per sé al trasferimento del bene ma imporrebbe al proprietario la previa demolizione della parte abusiva. Il che comporterebbe la possibilità di una duplice valutazione del comportamento del promittente venditore rispetto al paradigma dell’adempimento: la condotta dell’obbligato rileverebbe in primo luogo in relazione alla (mancata) demolizione dell’opera, circostanza che osterebbe alla stipulazione del definitivo; una volta provvedutosi alla demolizione del bene assumerà rilievo, ove accostato al programma negoziale inizialmente voluto dalle parti, il trasferimento di un bene parzialmente diverso. In tal caso pare possibile ricondurre la fattispecie concreta al fenomeno dell’adempimento parziale dell’obbligazione; in altre parole deve essere sempre riconosciuto al promittente acquirente il diritto di pretendere comunque l’adempimento di quella parte della prestazione che sia rimasta possibile (cfr. art. 1464 c.c.), salva la facoltà per questi di chiedere il risarcimento del danno ove, come sopra detto, l’impossibilità (parziale) sia imputabile al debitore.
7. Normativa urbanistica e responsabilità del notaio
Quanto sopra detto consente di trarre alcune importanti conclusioni anche in tema di responsabilità del notaio che sia chiamato a prestare il proprio ministero in sede di contratto preliminare. A tale riguardo occorre anche in questa sede necessariamente operare una distinzione tra la responsabilità del notaio quale pubblico ufficiale, rilevante, essenzialmente, sotto il profilo disciplinare, e collegata, nei nostri casi, al ricevimento ovvero all’autentica delle sottoscrizioni del contratto preliminare, da quella, che non verrà in questa sede esaminata, del notaio come prestatore d’opera intellettuale, legato da un rapporto contrattuale nei confronti delle parti.
Con riferimento alla responsabilità disciplinare del notaio essa può sussistere nel caso, che per primo si è sopra analizzato, in cui oggetto del preliminare sia un bene destinato per comune ed espressa volontà delle parti a permanere affetto da abusi di rango primario al momento del definitivo. E ciò non tanto perché un preliminare di tal genere violerebbe direttamente l’art. 17 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985 (ora 46 del d.P.R. 380 del giugno 2001); quanto, piuttosto, per violazione sul piano generale dell’art 28 in quanto si finirebbe per prestare la pubblica funzione al confezionamento di un atto nullo per impossibilità dell’oggetto (l’impegno a trasferire un bene non commerciabile).
Fuori da questo caso non pare possa esservi spazio per ritenere violato l’art. 28 della legge notarile, e ciò sulla base di quanto sopra detto in ordine alla validità del contratto preliminare riferito a un bene al momento della sua conclusione abusivo ma che le parti programmaticamente considerino come regolare in vista del contratto definitivo, e questo anche ove il contratto definitivo non possa essere stipulato mancando poi la regolarizzazione urbanistica dell’immobile.
Ancora, la responsabilità disciplinare del notaio va esclusa, e ciò anche e soprattutto con riferimento ai contratti traslativi, allorquando il (promittente) venditori dichiari la regolarità del bene, citando i relativi titoli abilitativi edilizi, con dichiarazione che si riveli poi non veritiera (salvo che la falsità non possa evincersi per tabulas) (69).
Il notaio non ha, infatti, nessun dovere di ricerca o verifica degli elementi dichiarati dalla parte (promittente) alienante ma dovrà limitarsi ad effettuare un controllo di tipo formale circa l’astratta idoneità del provvedimento in relazione al tipo di intervento e circa la riferibilità del provvedimento all’edificio oggetto del contratto nel senso della verifica del collegamento tra edificio provvedimento autorizzativo (70); non, invece, nel senso della presenza di totale difformità, la verifica della quale richiederebbe, oltre a un esame dello stato dei luoghi, competenze tecniche che il notaio non ha né può essergli richiesto di avere.
In altri termini il notaio è destinato a rispondere solo di quelle cause di nullità che egli stesso può riconoscere e quindi rilevare; non invece ove presti il suo ministero nel ricevimento (o autentica di sottoscrizioni) di un contratto che si riveli nullo per cause che il notaio non poteva essere in grado di rilevare in quanto presuppongono conoscenze tecniche non rientranti nella sia competenza professionale (ad es. nullità per difformità totale, nullità per falsa dichiarazione non contraddittoria) (71).
8. Postilla
Dopo la chiusura del presente lavoro è intervenuta una nuova pronuncia della Suprema Corte che sembra inserirsi nel solco segnato dal precedente orientamento, propenso a ritenere inapplicabile al preliminare la normativa urbanistica. Il riferimento è alla Sentenza n. 28456 del 19 dicembre 2013. Senza potere in questa sede effettuare un esame approfondita della stessa, può rilevarsi come con essa la Suprema Corte finisca col riconosce al mediatore il diritto alla provvigione anche nel caso in cui il preliminare di compravendita, perfezionatisi grazie alla sua attività, riguardi un immobile privo di concessione edificatoria.
Rileva la Cassazione, infatti, da un lato come fra le parti si sia comunque costituito un vincolo giuridico – escludendosi quindi la nullità del preliminare in parola; dall’altro come, in ogni caso, ben potrà intervenire un provvedimento in sanatoria degli abusi edilizi commessi oppure essere prodotta la dichiarazione prevista dalla legge, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al primo settembre 1967.
Andrea Todeschini Premuda
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1) Cass., 17 ottobre 2013, n. 23591, in corso di pubblicazione in Riv. not., con nota di CASU che si è potuta consultare per gentile concessione dell’Autore.
2) Cass., 17 dicembre 2013, n. 28194.
3) Il riferimento è a quanto portato dagli artt. 17 e 40 della legge n. 47 del 2 febbraio 1987, con formulazione ripresa nei corrispondenti articoli del secondo e terzo condono; la disciplina a regime si trova ora nell’art. 46 del d.P.R. 380 del 6 giugno 2001. Si tratta di norme che, come noto, sanciscono la nullità degli atti tra vivi, aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi dei titoli abilitativi edilizi.
4) Va, peraltro, evidenziato come la Sentenza n. 23591 del 17 ottobre 2013, sebbene nella massima faccia inequivocabilmente riferimento al contratto preliminare, abbia in realtà a oggetto un contratto definitivo di vendita a efficacia traslativa immediata.
5) La nullità viene dalla dottrina definita formale in quanto attinente al contenuto del documento negoziale; in questi termini v. CATAUDELLA, Nullità sul condono edilizio, in Quadrimestre, 1986, 488 e,ivi, nt. 3, che osserva come, allorquando richieda a pena di nullità che il testo del documento negoziale contenga determinate enunciazioni, si possa ben dire che la legge elevi a requisito formale la presenza di esse. In termini di nullità formale si esprimono, tra gli altri, anche ZANELLI, Commento all’art. 18 della legge 47/1985, in Le nuove leggi civili e commentate, 1985, 1108; TONDO,Commento all’art. 17 della legge n. 47 del 1985, in Abusivismo edilizio: condono e nuove sanzioni, a cura di PREDIERI, Roma, 1985, 224 e ALPA, Commento all’art. 18 della legge 47/1985, in Le nuove leggi civili e commentate, 1985, 1091.
Parla, invece, di nullità documentale attribuendo al termine un senso diverso (nullità prevista dalla legge), CUPIDO, Riflessi di carattere civilistico della legge n. 47 del 1985, in Giust. Civ., 1985, II, 471.DONISI (Abusivismo edilizio e invalidità negoziale, Napoli, 1986, 99) considera generica ed approssimativa la qualificazione della nullità in parola come formale, sulla base della considerazione che le manchevolezze sanzionate con la nullità hanno riguardo a deficienze del contenuto negoziale, nozione, quest’ultima che viene utilizzata dall’Autore al fine di ricomprendervi tutte le dichiarazioni inserite nel testo negoziale.
6) Cfr. MORELLO, La circolazione dei beni immobili e l’attività del notaio, in Corr. giur., 1985, 1159; MALAGUTI, La validità degli atti di disposizione di fabbricati alla luce della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in Riv. not., 1986, 434; MONACO, Abusi edilizi e compravendita di case, Padova, 1984, 175; IANNELLI, Sulla nullità degli “atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione”, in Rass. dir. civ., 1981, 710.
7) Riporta così le differenti tesi CASU, Tipo di abuso edilizio e commerciabilità del bene, in Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del notariato, Milano, 1999, 231 s.; ID., Nota a Cass. 23591/2013, in corso di pubblicazione, cit.
8) BARALIS - FERRERO - PODETTI, Prime considerazioni sulla commerciabilità degli immobili dopo la legge 28 febbraio 1985, n. 47, in Riv. not., 1985, 530; BOTTARO, Legge di sanatoria dell’abusivismo. Ruolo del notaio, in Riv. not., 1985, 840; ID., Il regime di circolazione di beni immobili abusivi. Sanatoria mediante silenzio-assenso e regime vincolistico di cui agli artt. 32 e 33 della legge 47/1985,Milano, 1999, 161; RUGGIERO, Abusi, sanzioni, sanatoria in materia edilizia, in Riv. not., 1985, 361; ALPA, Commento all’art. 18 della legge 47/1985, cit., 1086; GIULIANI, I controlli notarili nella negoziazione degli immobili abusivi, in Riv. not., 1987, 294; SALVESTRONI, Incommerciabilità di beni e autonomia negoziale, in Riv. dir. comm.,1989, 498; DONISI, Abusivismo edilizio e invalidità negoziale, cit., 99; TONDO, Commento all’art. 17 della legge n. 47 del 1985, cit., 224; CATAUDELLA, Nullità “formali” e nullità “sostanziali” nella normativa sul condono edilizio, cit., 487 ss..
9) CARDARELLI, La legge 28 febbraio 1985, n. 47, nei suoi riflessi sull’attività notarile, in Riv. not., 1986, 287 ss.; LUMINOSO, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio, in Quadrimestre, 1985, 332.
10) Per una completa disamina del tipo di menzioni che debbono essere contenute nell’atto al fine di ottemperare alle prescrizioni formali portate dalla normativa urbanistica si veda RIZZI, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, Milano, 2004, 149 ss., ove si tiene conto delle differenti epoche di costruzione dell’immobile negoziato nonché del tipo di condono che lo ha eventualmente interessato; ID., Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili, Studio n. 5389 – 2004/C, in Banca Dati del Notariato, nonché ID., La disciplina dell’attività edilizia dopo il decreto sullo sviluppo 2011, Studio 325- 2011/C, in Banca Dati del Notariato e CASU, L’urbanistica nell’attività notarile, Roma, 2008, 55 ss.
11) MALAGUTI, La validità degli atti di disposizione di fabbricati alla luce della l. 28 febbraio 1985, n. 547, in Riv. not., 1986, 437, rileva come la menzione della licenza o della concessione o la dichiarazione sostitutiva (ovvero gli altri adempimenti formali richiesti dalla legge) rendano l’atto valido, efficace e ricevibile dal notaio, anche in caso di citazione erronea o addirittura falsa, purché formalmente completa: in caso di falsità o erroneità vi saranno conseguente amministrative e penali di altro tipo; ma l’atto rimane valido. Con l’ulteriore conseguenza, secondo l’A., che, ove venga rilevata successivamente l’erroneità di una menzione non sarà necessario un atto di conferma in quanto l’atto (nonostante l’errore, che potrà semmai rilevare come causa di annullamento del contratto, ove ne sussistano i presupposti) sarebbe perfettamente valido.
12) MORELLO, La circolazione dei beni immobili e l’attività del notaio, cit., 1157 ss. secondo il quale in caso di divergenza tra la dichiarazione formale e situazione urbanistica dell’immobile, ferma l’esclusione della nullità dell’atto, l’acquirente troverebbe tutela nella disciplina dettata in materia di errore ovvero dolo quali vizi della volontà che determinano l’annullabilità del contratto in presenza dei presupposti previsti dalla legge.
13) La legge vorrebbe, in altre parole, che l’acquirente fosse edotto in ordine alla situazione del bene sotto il profilo urbanistico – edilizio e alle possibili destinazioni e utilizzazioni e questo sarebbe comprovato dalla comminatoria di nullità per mancata menzione pur in presenza di un immobile urbanisticamente regolare. V. sul punto LUMINOSO, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio (prime impressioni sulla legge 28.2.1985, n. 47), cit., 325, che a sostegno richiama la norma portata dall’art. 47 delle legge n. 47 del 28 febbraio 1985, che consentiva al promittente acquirente sulla base di un contratto preliminare (con sottoscrizioni autenticate) di accedere agli atti in materia urbanistica. Continua l’A. sostenendo che la legge risponde a un’esigenza più generale, che è quella di mettere in grado chiunque ne abbia interesse – considerata la normale trascrivibilità degli atti – di conoscere la situazione edilizio-urbanistica degli immobili. Cfr. anche quanto riportato da CASU, Abuso edilizio e commerciabilità del bene, cit., 231 s.
14) CASU, ibidem.
15) BARALIS - FERRERO - PODETTI, Prime considerazioni sulla commerciabilità degli immobili dopo la legge 28 febbraio 1985, n. 47, cit., 530; BOTTARO, Legge di sanatoria dell’abusivismo. Ruolo del notaio, cit., 840; ID., Il regime di circolazione di beni immobili abusivi. Sanatoria mediante silenzio-assenso e regime vincolistico di cui agli artt. 32 e 33 della legge 47/1985, cit., 161; RUGGIERO,Abusi, sanzioni, sanatoria in materia edilizia, cit., 361; ALPA, Commento all’art. 17 della legge 47/1985, cit., 1985, 1086; GIULIANI, I controlli notarili nella negoziazione degli immobili abusivi, cit., 294; SALVESTRONI, Incommerciabilità di beni e autonomia negoziale, cit., 498; DONISI, Abusivismo edilizio e invalidità negoziale, cit, 99; TONDO, Commento all’art. 17 della legge n. 47 del 1985, cit., 224; MARICONDA, Dalla “Bucalossi” ad oggi: le nullità civili strumento di controllo urbanistico, in Corr. Giur., 1984, 74; CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Prime note sulla legge 28 febbraio 1985 n. 47, in Banca Dati del Notariato. Cfr. inoltre CATAUDELLA, Nullità “formali” e nullità “sostanziali” nella normativa sul condono edilizio, cit., 496 ss. che definisce arbitraria la conclusione per cui, nel subordinare la validità del negozio giuridico alle dichiarazioni e (alle allegazioni) in questione, il legislatore abbia inteso prescindere del tutto dalla conformità delle stesse al vero.
16) CATAUDELLA, Nullità “formali” e nullità “sostanziali” nella normativa sul condono edilizio, cit., 496.
17) LUMINOSO, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio (prime impressioni sulla legge 28.2.1985, n. 47), cit., 333.
18) CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Prime note sulla legge 28 febbraio 1985 n. 47, cit. per il quale, comunque, in caso di successivo accertamento circa la non veridicità dei dati enunciati in atto in ordine alla concessione, pur restando coinvolto l'atto, non resterebbe coinvolto il notaio, perché la legge non pone a suo carico nessun obbligo di controllo dei dati enunciati; potendo quindi verificarsi l'ipotesi di un atto dichiarato nullo per falsità nella enunciazione dei dati senza che di tale nullità il notaio risponda né sul piano disciplinare, né sul piano civilistico.
19) CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, La legge 28 febbraio 1985, n. 47. Criteri applicativi, in Consiglio Nazionale del Notariato, Condono edilizio Circolari, studi e riflessioni del notariato, Milano, 1999, 3 ss.
20) Così, CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, La legge 28 febbraio 1985, n. 47. Criteri applicativi, cit., 45 ss., ove si rileva come in una sola ipotesi il vizio presenti sempre caratteri puramente formali: allorché si tratta di costruzione iniziata anteriormente all'1° settembre 1967.
21) In questi termini si v. Cass. 15 giugno 2000 n. 8147, in Riv. Not., 2001, 143, con nota di Casu, Brevi questioni sulla nullità ex artt. 17 e 40 legge n. 47/1985; Cass. 7 dicembre 2005, n. 26970, che, nel ribadire la rilevanza formale della nullità in parola, asserisce che nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche; Cass. 5 aprile 2001 n. 5068 per la quale, non osta all'emissione della sentenza ex art. 2932 c.c. la mancanza della certificazione di conformità del bene alla concessione edilizia, in quanto l'art. 40 della legge n. 47 del 28 febbraio1985 commina la nullità degli atti tra vivi con i quali si trasferiscono diritti reali su immobili ove non contengano la dichiarazione degli estremi della concessione, mentre non prende in considerazione l'ipotesi della conformità o meno della realizzazione rispetto all'atto concessorio. Cfr. anche in termini analoghi Cass., 14 dicembre 1999, n. 14025 in Foro it., 2000, 3526; Cass. 17 agosto 1999 n. 8685.
22) Con la conseguenza, ancora, che l’eventuale conferma, pur prevista dalla legge n. 47 del 28 febbraio 1985, deve risolversi in un nuovo e distinto atto, mediante il quale si provveda alla comunicazione dei dati mancanti o all'allegazione dei documenti, avente i medesimi requisiti formali del precedente. Quanto all’irregolarità urbanistica del bene, essa non rileverebbe in quanto tale ma solamente in quanto precluda la conferma dell'atto. Simmetricamente, la regolarità del bene sotto il profilo urbanistico non rileverebbe in sé, ma solo in quanto consentirebbe la conferma dell'atto (in questi termini Cass. 15 giugno 2000 n. 8147).
23) Così Cass. 24 marzo 2004 n. 5898, nella quale si rileva, inoltre, come nei casi di specie non sarebbe neanche configurabile una nullità del contratto di compravendita per illiceità dell'oggetto in quanto oggetto della compravendita è il trasferimento della proprietà della cosa, la quale non è suscettibile, in sé, di valutazione in termine di liceità, attenendo questa qualificazione all'attività di produzione della cosa, che è estranea al contenuto tipico delle prestazioni oggetto della compravendita. Continua la Cassazione affermando che l'abusività della costruzione può, invece, venire in rilievo soltanto in termini di insufficienza della prestazione di trasferimento, per la possibilità di evizione totale o parziale o di impedimento dell'uso della costruzione per difetto di abitabilità o agibilità, e quindi trovare il suo rimedio e la sua sanzione nella generale disciplina dell'inadempimento contrattuale, a tutela e su iniziativa del soggetto che, ignaro dell'abusività al momento della stipulazione del contratto, ne avesse subito pregiudizio.
24) Il riferimento è a Cass., 5 luglio 2013, n. 16876.
25) Norma per la quale, come noto, negli atti aventi per oggetto diritti reali relativi ad edifici, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, attestante che l'opera è iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967.
26) L’art. 15 della legge Bucalossi prevedeva la nullità degli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, ove da essi non risultasse che l’acquirente fosse a conoscenza della mancata concessione. La norma era peraltro stata criticata in dottrina poiché ritenere unico strumento di validità dell’atto la dichiarazione della parte acquirente che il bene era contra legemportava alla conseguenza che una dichiarazione d’illegalità per tabulas risultasse condizione per rendere l’atto legittimo (cfr. CASU, Nota a Cass. 23591/2013, cit.).
27) Cfr. BIANCA, Diritto civile , 3, Il contratto, Milano, 2000, 613.
28) Dovrebbe, sulla base di questo assunto, concludersi per la nullità dell’atto anche allorquando l’alienate asserisca falsamente che la costruzione del bene sia iniziata anteriormente al 1° settembre 1967: mancherebbero, infatti, in tal caso le menzioni circa i titoli abilitativi edilizi che la legge richiede per i beni la cui costruzione sia iniziata successivamente alla predetta data.
La circostanza che l’atto sia da ritenere nullo sia in presenza di un provvedimento falso sia in presenza di un provvedimento esistente ma valido non comporta che i relativi atti, ove ricevuti, involgano necessariamente la responsabilità del notaio quale pubblico ufficiale (cfr. amplius RIZZI, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, cit., 152 nonché infra par. 7).
29) Cfr. CHECCHINI, Nullità formale nullità sostanziale nell’alienazione di immobili irregolari, in Riv. giur. urb., 1986, 404 s.; CASU, Abuso edilizio e commerciabilità del bene, cit., 237; ID., Nota a Cass. 23591/2013, cit.; RIZZI, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, cit., 152 per il quale, ai fini della commerciabilità del bene la cui costruzione sia iniziata successivamente al 1° settembre 1967, sembra appagare il riferirsi al criterio della “riferibilità iniziale dell’opera ad un provvedimento autorizzativo” in base a tale criterio è alla vicenda costruttiva che bisogna fare riferimento, con conseguente commerciabilità del bene qualora sussista tale riferibilità dell’edificio da trasferire al progetto inziale, indipendentemente da eventuali successivi interventi che, pur avendo in qualche modo modificato l’edificio, non siano di portata tale da far venire meno la riconducibilità dell’edificio da trasferire al progetto originario; tale riferibilità iniziale viene meno solo nel caso in cui sul fabbricato siano stati eseguiti interventi edilizi tali da dare luogo ad un organismo edilizio totalmente differente da quello originariamente assentito. In termini analoghi, come si è già avuto modo di vedere, si è espresso anche il CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, La legge 28 febbraio 1985 n. 47 – Criteri applicativi, cit., 30.
30) Così CASU- LOMONACO, Risposta a Quesito n. 350-2008/C, Concessione edilizia. Varianti non autorizzate. Vincolo paesaggistico. Fattispecie particolare, in Banca dati del Notariato.
31) Per un’esauriente panoramica delle differenti tipologie di abuso e delle sanzioni previste si veda la dettagliata analisi di RIZZI, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, cit., 101 ss.
32) Sul punto si v. Cass. pen., 5 giugno 1986 n. 4918, in Riv. giur. edilizia, 1988, 206, per la quale è configurabile la contravvenzione di costruzione in totale difformità dalla concessione, soltanto quando venga realizzato un organismo edilizio integralmente diverso da quello previsto, per caratteristiche tipologiche, planivolumetriche o di utilizzazione. Ricorre inoltre la medesima ipotesi di reato anche qualora vengano realizzati volumi oltre i limiti del progetto approvato; Cass. pen., 23 aprile 1990, n. 5891, in Riv. giur. edilizia, 1991, 1185 che riconduce la totale difformità dalla concessione edilizia al caso in cui vi sia eccedenza volumetrica, creazione di un organismo edilizio o di parte di esso, Rilevanza specifica dell'opera e sua autonoma utilizzabilità; per Cass. pen., 2 dicembre 1997, n. 11044, il mutamento abusivo di destinazione di uso di un immobile preesistente, va equiparato al fatto della realizzazione di una costruzione edilizia in assenza della richiesta concessione allorché esso non sia puramente funzionale, ma si verifichi attraverso opere strutturali che comportino una totale modificazione del realizzato rispetto al previsto che sia urbanisticamente rilevante; v. anche Cass. 31 gennaio 2011, n. 2187, in Riv. giur. edilizia, 2011, 457, con nota di DE TILLA, Nullità dell'appalto per l'esecuzione di opere in difformità rispetto alla concessione edilizia, in materia di appalto, per la quale si ha difformità totale, con conseguente nullità del contratto di appalto per illiceità dell'oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica, allorquando venga realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie rispetto a quello autorizzato, dovendo l'opera essere equiparata a quella costruita in assenza di concessione.
33) Rileva CASU - LOMONACO, Risposta a Quesito n. 553-2008/C, cit., come solo in presenza di un abuso maggiore, che consiste o nella costruzione dal nulla di un intero edificio, oppure, nel caso di edificio già esistente, nella creazione di una parte del tutto autonoma di esso, tale cioè da poter essere commercializzata autonomamente dalla restante parte e non come porzione inscindibile o perché fisicamente aggregata al resto si avrebbe l’incommerciabilità del bene. Sarebbe, invece, commerciabile (ma con i dovuti chiarimenti che fanno carico al notaio diligente, nell’interesse di una chiara e trasparente informazione delle parti) un immobile interessato da un abuso non primario, sul presupposto che in tal caso l’atto sarebbe valido e sarebbe a rischio soltanto il bene, che manterrebbe in tal caso la sua irregolarità urbanistica. Sul concetto di abuso primario, RIZZI, Terzo condono edilizio: formalità redazionali con istanza di sanatoria in itinere, in Banca Dati del Notariato; ID. Menzioni urbanistiche e validità degli atti notarili, in Banca Dati del Notariato; CASU – RAITI, Condono edilizio e attività negoziale, Milano, 1999, 40 ss.; CASU, In tema di modifica di destinazione d’uso funzionale, in CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Studi e Materiali, VI, Milano, 2001, 977.
34) Non pare determinante, invece, ai fini di ricavare l’esistenza di un fenomeno di totale difformità l’esistenza, che si evince dalla motivazione del provvedimento, di un’ordinanza di demolizione del bene compravenduto, giacché un provvedimento di tale natura viene emanato anche in presenza di variazioni essenziali (art. 31 d.P.R. n. 380 del 6 giugno 2011); cfr. sul punto Rizzi, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, cit., 106.
Cass. pen. 22 dicembre 2010, n. 11956, per la quale integra il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire (art. 44, comma primo, lett. b), d.P.R., 6 giugno 2001, n. 380) la realizzazione di opere non rientranti tra quelle autorizzate, per le diverse caratteristiche tipologiche e di utilizzazione, aventi una loro autonomia e novità, sia sul piano costruttivo che su quello della valutazione economico sociale. (Fattispecie nella quale l'intervento edilizio era consistito nella trasformazione di locali, autorizzati come sottotetti costituenti volumi tecnici in unità immobiliari residenziali, di altezza più elevata rispetto alle previsioni progettuali e di superficie corrispondente al piano sottostante, divise in ambienti separati, muniti di aperture finestrate, dotati di impianti elettrico ed idrico); Cass. 26 febbraio, 1990, n. 5891, in Riv. giur. edilizia, 1991, 1185: si ha totale difformità dalla concessione edilizia nel caso in cui vi sia eccedenza volumetrica, creazione di un organismo edilizio o di parte di esso, rilevanza specifica dell'opera e sua autonoma utilizzabilità. Questi elementi devono, per dare luogo ad una delle due ipotesi di difformità legislativamente disciplinate, sussistere tutti contemporaneamente. La rilevanza specifica va interpretata nel senso che non ogni superamento dei limiti volumetrici configura il reato de quo, ma soltanto quella che abbia una notevole consistenza. All'uopo il giudice deve avvalersi di un duplice criterio, e cioè sia di una valutazione assoluta ed oggettiva, che di altra relativa alla struttura realizzata. L'autonoma utilizzabilità poi non vuol dire che il corpo eseguito sia fisicamente separato, ma soltanto che dia luogo ad una eccedenza, la quale non si stemperi nella globalità dell'organismo, ma conduca alla creazione di una struttura precisamente individuabile e suscettibile di un uso indipendente, anche se l'accesso allo stesso sia possibile esclusivamente attraverso lo stabile principale. Ne deriva che la trasformazione di un sottotetto in mansarda integra gli estremi della totale difformità.
35) Cass., 26 febbraio, 1990, n. 5891.
36) Cfr. CASU - LOMONACO, Risposta a Quesito n. 553-2008/C, cit., per cui la costruzione in totale difformità dalla concessione edilizia - che può riguardare ogni singola struttura dell'organismo edilizio - può derivare a) dalla esecuzione di un corpo autonomo, b) dall'effettuazione di modificazioni con opere interne o esterne tali da comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull'assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico), ovvero c) dal mutamento di destinazione di uso di un immobile preesistente, che va equiparato al fatto della realizzazione di una costruzione edilizia in assenza o in totale difformità dalla concessione allorché esso non sia puramente funzionale ma si realizzi attraverso opere strutturali implicanti una totale modificazione rispetto al preesistente e al previsto, che sia urbanisticamente rilevante secondo il disposto dell'art. 8 della legge n. 47/1985.
37) Cfr. CASU, Nota a Cass. 23591/2013, cit.; cfr. però Cass. pen., 19 dicembre 2000, n. 6591, la trasformazione di un sottotetto in mansarda costituisce mutamento della destinazione d'uso dell'immobile per il quale è necessario il rilascio della concessione edilizia, in assenza della quale il fatto integra l'ipotesi di reato di cui all'art. 20 lett. b) della legge 28 febbraio 1985 n. 47.
38) Rileva MESSINEO, voce “Contratto preliminare, contratto preparatorio e contratto di coordinamento”, in Enc. dir. X, Milano, 1962 come il preliminare costituisca “uno degli aspetti della formazione progressiva del contratto (o formazione ex intervallo), o, meglio, della produzione progressiva degli effetti contrattuali, in quanto, in forza del preliminare, i normali effetti non si producono tutti immediatamente - poiché tale è l'intento delle parti. Anzi, se ne produce uno solo, che è di indole essenzialmente formale e strumentale: l'obbligazione (di natura strettamente personale) a stipulare, fra le medesime parti, un futuro altro contratto - esso, sì, provvisto di contenuto e di effetti sostanziali (economici) - e che si chiama contratto (con terminologia contrapposta) definitivo (o, anche, principale). Pertanto, il contratto preliminare esercita una funzione meramente preparatoria: quella di gettare le basi di un successivo contratto. Considerandola più da vicino si scorge che l'obbligazione, che discende dal preliminare, ha un contenuto tipico, ossia un facere. Vi corrisponde un diritto personale (di credito) della controparte a pretendere l'osservanza dell'obbligazione, assunta dalla parte: per il che, il preliminare si classifica fra i contratti ad effetti obbligatori (e non fra i contratti con effetto reale), ossia non-immediatamente costitutivi, o traslativi, di diritti”.
39) CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, La legge 28 febbraio 1985, n. 47. Criteri applicativi, cit., 7; cfr. inoltre CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Circolare 3 febbraio 1997, Condono edilizio e commerciabilità dell’edificio abusivo dopo la legge collegata alla finanziaria 1997, riprodotta in CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Condono edilizio. Circolari, studi e riflessioni del Notariato,Milano, 1999, 73; ANNUNZIATA, Inosservanza della legge sul condono edilizio e contratto preliminare di vendita di costruzione; in Nuova rass. civ. e comm., 1998, I, 7, ARENIELLO, Validità del preliminare di vendita di fabbricati abusivi, in Corr. giur., 1994, 85; FICI, Abusivismo edilizio, invalidità negoziale e contratto preliminare, in Nuova giur. civ. comm., 1998, 10 e segg.; LUMINOSO,Contrattazione immobiliare e disciplina urbanistica, in Abusivismo edilizio ed invalidità negoziale, I, Milano, 1994, 64, nt. 26; E. GABRIELLI, L’oggetto del contratto, in Comm. cod. civ. diretto daSCHLESINGER, Artt- 1346 – 1349, Milano, Milano, 2001, 74 s.; RIZZI, La redazione del preliminare, Studio 19-2007/C, in Banca Dati del Notariato, per cui le menzioni urbanistiche sono senz’altro opportune (e necessarie ove si ricada nell’ambito di applicazione del d.lgs 122/2005) ma non ai fini della validità dell’atto.
40) Si veda sul punto Cass. 17 ottobre 1992, n. 11426, che esclude l’applicazione analogica della disciplina di cui alla legge 10/1977 al contratto preliminare; Cass. 3 settembre 1993, n. 93313, in Giust.civ. 1994, I, 1323, con nota di SALA; Cass. 9 luglio 1994, n. 6493, in Foro amm., 1995, 2509, con nota di IANNOTTA,; Cass. 2 aprile 1996, n. 3028, in Foro it., 1996, I, 2036, queste ultime due dettate in materia di obbligo di allegazione del certificato di destinazione urbanistica; Cass. 1 settembre 1997, n. 8335; Cass., 17 giugno 1999, n. 6018, in Riv. not., 2000, con nota di Casu, Scrittura privata autenticata e contratto d’opera professionale; Cass., 6 agosto 2001, n. 10831, in Riv. giur. edilizia, 2001, 1079; Cass., 4 gennaio 2002, n. 59, in Riv. giur. edilizia, 2002, 625; Cass., 11 marzo 2004, n. 4965; Cass., 24 aprile 2007, n. 9849; Cass. 24 maggio 2011, n. 11391; Cass., 21 agosto 2012, n. 14579; e, da ultimo, Cass., 30 gennaio 2013, n. 2204 che, ancora una volta, evidenzia come la nullità prevista dall'art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47 con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria deve ritenersi limitata ai trasferimenti aventi effetto reale, e non estesa ai contratti ad efficacia meramente obbligatoria, come il preliminare di vendita.
41) Per l’applicabilità dell’art. 15 della legge n. 10 del 28 febbraio 1977 cfr. Cass. 6 ottobre 2005, n. 19467 che si riferisce ad un preliminare di vendita era stato stipulato nel 1980, in piena vigenza, quindi, della L. n. 10 del 28 gennaio 1977; Cass. 1 settembre 1997, n. 8335; Cass. 6 agosto 2001, n. 10831; Cass. 24 maggio 2011, n. 11391, da ultimo Cass., 30 gennaio 2013, n. 2204.
42) Cfr. Cass. 6 agosto 2001, n. 10831 e Cass. 24 maggio 2011, n. 11391, Cass. 30 gennaio 2013, n. 2204, che, senza peraltro affrontare la questione apertamente, pervengono ad applicare l’art. 15 delle legge n. 10 del 28 gennaio 1977 a contratti preliminari stipulati dopo l'entrata in vigore della L. n. 47 del 28 febbraio 1985.
43) Il riferimento è a Cass., 21 agosto, 2012, 14759 che correttamente esclude l’applicabilità dell’art. 15 della legge n. 10 del 28 gennaio 1977 ad un contratto preliminare stipulato nel 1990 e, quindi, successivamente alla sua intervenuta abrogazione, ad opera della legge n. 47 del 28 febbraio 1985.
44) Si veda, infatti, la successiva Cass. 30 gennaio 2013, n. 2204 che, nell’escludere l’applicabilità al preliminare delle disposizioni della legge n. 47 del 28 febbraio 1985, finisce, tuttavia, per applicare al predetto contratto, stipulato il 14 aprile 1986, il previgente art. 15 della legge Bucalossi.
45) RIZZI, La redazione del preliminare, Studio 19-2007/C, in Banca Dati del Notariato, che rileva che non si tratta di menzioni richieste ai fini della validità del preliminare, ma di menzioni poste nell’interesse di una della parti del contratto, ossia della parte promissaria acquirente, a poter disporre di tutti gli elementi necessari per formarsi un’idea esatta del contratto da stipulare.
46) Cfr. Cass. 19 dicembre 2006, n. 27129: costituisce inadempimento di non scarsa importanza il comportamento del promittente alienante che prometta in vendita un immobile abusivo e privo dei requisiti richiesti per la sua commerciabilità, in quanto costruito in Sicilia dopo la scadenza del termine ultimo per la fruizione del condono (31 dicembre 1976) a meno di 150 metri dalla linea di battigia, e quindi in violazione del vincolo di inedificabilità assoluta e al di fuori di ogni possibilità di regolarizzazione; Cass., 24 marzo 2004, n. 5898 che, riferendosi a un contratto definitivo di trasferimento, afferma che il difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico non rilevi di per sé ai fini della validità dell’atto di trasferimento, trovando rimedio nelle disciplina dell’inadempimento contrattuale.
47) In questi termini si v., invece, LUMINOSO, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio, cit., 330.
48) CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Legge 28 febbraio 1985 n. 47, criteri applicativi , cit.;
49) Cass. S.U., 11 novembre 2009, n. 23825, in Giur. it., 2010, 1802, con nota di MONTELEONE, Legittimità urbanistica dell'immobile ed esecuzione in forma specifica del preliminare che rileva, con riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio, di cui all'art. 40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, come essa non costituisca un presupposto della domanda, bensì una condizione dell'azione, che può intervenire anche in corso di causa e sino al momento della decisione della lite; la Cassazione, nella sentenza in parola, aggiunge, inoltre, che, in caso di inadempienza del promittente venditore, deve essere consentito al promittente acquirente di provvedere alla produzione della documentazione urbanistica, ovvero a rendere le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà richieste dalla legge, dovendo prevalere la tutela di quest'ultimo a fronte di un inesistente concreto interesse pubblico di lotta all'abusivismo, sussistendo di fatto la regolarità urbanistica dell'immobile oggetto del preliminare di compravendita.
50) Rileva il CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, Legge 28 febbraio 1985 n. 47, criteri applicativi, cit; che la disposizione di cui all’art. 47 che, nell'attribuire un diritto di documentazione a colui che abbia stipulato un contratto preliminare di vendita con sottoscrizioni autenticate, sembra contraddire alla interpretazione che ritenga di pretendere fin dal contratto preliminare l'indicazione di dati documentali che proprio a seguito del preliminare si dovrebbero ottenere.
Indubbiamente l’assenza della menzione dei titoli abilitativi edilizi nel preliminare sembra essere il presupposto “normale” o verosimile avuto presente dal legislatore. Non può, tuttavia, escludersi la compatibilità tra la disposizione in parola e la presenza delle menzioni urbanistiche in sede di preliminare, ove si dovesse pervenire a ritenere che la nullità di cui si discute attenga anche a profili di tipo sostanziale e non già, solo, formale.
51) Cfr. GABRIELLI, Il contratto preliminare, Milano, 1970, p. 164 ss., secondo il quale la dissociazione temporale tra il momento in cui si programma un certo assetto di interessi e quello in cui lo si introduce consente di verificare medio tempore la presenza dei presupposti ritenuti essenziali, potendo così le parti – in caso di loro mancanza al tempo del definitivo – impedire la nascita degli effetti inizialmente voluti.
52) In questo, giova ribadirlo, escludendosi la necessità delle menzioni urbanistiche ai fini della validità del contratto preliminare.
53) Nonostante il legislatore si riferisca all’oggetto del contratto, è opinione ricorrente in dottrina quella per cui i requisiti debbono essere riferiti non tanto alla res oggetto del contratto (il bene immobile; in questo senso si v. però G.B. Ferri, Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1995, 177s.), quanto, piuttosto, alla prestazione, intesa non come comportamento dovuto dal debitore, bensì come insieme delle vicende di situazioni giuridiche contemplate nel contratto; cfr. sul punto SACCO, Il contratto, cit., 49; ROPPO, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da IUDICA E ZATTI, Milano, 1995, 337 ss.; v. anche MESSINEO, voce “Contratto (dir. priv. - teoria generale)”, in Enc. dir., IX, Milano, 1961, per il quale i “caratteri, o requisiti, dei quali è menzione nell'art. 1346 c.c., si riferiscono ad evidenza alla prestazione, poiché è legittimo riferire la liceità (o illiceità) alla prestazione, mentre è privo di senso parlare di liceità (o di illiceità) di un bene; per giunta, tale carattere è attribuito espressamente alla prestazione, e non a un bene, dai tre residui articoli (1347, 1348 e 1349). […] Pertanto, esemplificando, si dirà correttamente che il bene (res) e il prezzo sono oggetto del contratto di compravendita, mentre sarà elemento dell'obbligazione il dovere del venditore di trasferire la proprietà della res, e il dovere del compratore di corrisponderne il prezzo”.
54) Non è agevole individuare ipotesi di impossibilità giuridica dell’oggetto che non si risolvano nell’illiceità dell’oggetto medesimo e/o della causa del negozio (cfr. E. GABRIELLI, L’oggetto del contratto,in Comm. cod. civ. diretto da SCHLESINGER, Artt- 1346 – 1349, Milano, Milano, 2001, 61 ss. che finisce per identificar l’impossibilità giuridica derivante da un divieto di legge all’illiceità; GITTI,Problemi dell’oggetto, in Trattato del contratto, diretto da ROPPO, II, Milano, 2006, 75 ss.; PASSAGNOLI, Il contratto illecito, in Trattato del contratto, diretto da ROPPO, II, Milano, 2006, 470 ss.). Questi ultimi A. rilevano come la distinzione risulterebbe di sai dubbia utilità; in contrario si v. la condivisibile opinione di BARENGHI, L’oggetto del contratto, n Trattato di diritto civile, diretto da Lipari – Rescigno, III, Milano, 2009, 341, che sottolinea come le due ipotesi non sarebbero comunque sottoposte al medesimo trattamento normativo, posto che l’art. 1347 in materia di possibilità sopravvenuta dell’oggetto è ritenuto applicabile soltanto all’oggetto impossibile e non anche all’oggetto illecito. Secondo SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ. a cura diSCIALOJA-BRANCA, libro IV, delle obbligazioni, Bologna – Roma, 1970, 354; per SACCO, Il contratto3, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, Torino, 2002, 12, 1, 389 ss., l’impossibilità giuridica ricorre quando la prestazione, non consistendo in sé in un illecito, non è possibile in conseguenza di un divieto legislativo.
Motivo per cui si ritiene che il preliminare, nel caso di specie, possa essere configurato come affetto da impossibilità giuridica dell’oggetto che non si traduca invece in illiceità del medesimo (v. in senso contrario SANTORO PASSARELLI, Le dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, 132, secondo cui l’impossibilità può essere solo naturale, nel senso che la cosa o il comportamento non si presti per sua natura a essere oggetto del contratto).
Sul punto si v. anche SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da SACCO, II, Torino, 2004, 55, che parla di illiceità quando la norma valutativa si appoggia ad una parallela valutazione dell’atto come antisociale; si è propensi a parlare di impossibilità giuridica quando il legislatore ha vietato quella struttura perché l’ha ritenuta complicata, costosa, disarmonica o pericolosa, ossia contraria a schemi tecnici di architettura sociale.
55) “Il preliminare […] obbliga le parti non solamente alla prestazione del consenso ma anche alle prestazioni che questo consenso implica. Ciò per altro non esclude che il contratto definitivo si stabilisca come fonte esclusiva del rapporto contrattuale. Il contratto definitivo è infatti destinato a sostituire il titolo provvisorio del preliminare”. Così BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, p. 189-190.
56) Come si è cercato di spiegare sopra, l’eventuale pattuizione contraria, ovverosia la considerazione delle parti del bene come abusivo avrà conseguenze diverse a seconda che gli abusi siano tali da impedire o non impedire il trasferimento del bene; nel primo caso dovrò concludersi per la nullità del contratto per impossibilità giuridica dell’oggetto, non, invece, nel secondo, trattandosi di prestazione giuridicamente possibile.
57) Cfr. Cass., 6 dicembre 1984, n. 6399, in Giurisp. it., 1985, 1512 con nota di E. GABRIELLI, Evizione, garanzia, e la teoria dei vizi del diritto, che in caso di compravendita di un immobile costruito in difformità dal progetto edilizio, rigetta l’ipotesi di nullità del contratto per illiceità o impossibilità dell’oggetto e riconduce la fattispecie nel paradigma del 1489 c.c.; in questo senso anche Cass., 23 ottobre 1991, n. 11218, in Foro it., 1993, 928; Cass. , 28 febbraio 1987, n. 4786, in Giurisp. it., 2007, 2176.
58) Si veda ancora Cass., 12 giugno 1973, 1706 per la quale, allorquando la prestazione dedotta in contratto consista in un'attività soggetta ad autorizzazione amministrativa, è in colpa l'obbligato inadempiente che non dimostri di essersi diligentemente adoperato per ottenere il rilascio della prescritta autorizzazione e di avere sperimentato, contro il diniego della stessa, i rimedi amministrativi e giurisdizionali che potessero apparire utili.
Dovrà pacificamente applicarsi la disciplina dell’inadempimento contrattuale ove le parti si siano concordate per l’abbattimento delle opere abusive e il promittente venditore non abbia provveduto, nei termini contrattualmente previsti, alla demolizione delle stesse.
59) Del resto pare potersi condividere l’idea per cui la semplice eventualità ancorché sia suscettibile di essere prevista, che la prestazione divenga impossibile, non determina nullità del contratto exartt. 1346 e 1418 c.c. (cfr. Cass., 12 giugno 1973, n. 1706).
60) Cfr. GIORGIANNI, voce “Inadempimento”, in Enc. giur., XX, Milano, 1970 che rileva che di solito, parlando di inadempimento dell'obbligazione, si tende a sottolineare il suo aspetto soggettivo, e cioè il comportamento colpevole del debitore in contrasto con l'obbligo che a lui incombe. Tuttavia l'inadempimento può servire anche a designare semplicemente la situazione giuridica obiettiva, che si individua nel mancato soddisfacimento dell'interesse del creditore, a prescindere dal comportamento colposo del debitore.
61) L’impossibilità sopravvenuta, difatti, rende risolubile il contratto, ma non ne determina la nullità. Cfr. Cass. 20 luglio 1987, n. 6862; SACCO, Il contratto, cit., 50, nt. 5.
L’impossibilità sopravvenuta potrebbe, peraltro, rivestire anche carattere meramente temporaneo in quanto, ad esempio, muti, in tempi utili per il definitivo, il quadro normativo di riferimento; in tal caso arg. ex art. 1256 c.c. il preliminare non sarà privo di effetti tutte le volte in cui la possibilità dell’oggetto sopravvenga prima del momento in cui il debitore - venditore non possa più ritenersi tenuto alla prestazione ovvero il creditore – acquirente non abbia più interesse a riceverla. Il che ricorre non solo quando la sopravvenuta possibilità della prestazione si verifica entro la data convenuta tra le parti per la stipula del definitivo; ma anche quando, pur essendo scaduto il detto termine, deve ritenersi, secondo le circostanze che il debitore – venditore possa essere ancora tenuto alla prestazione del consenso e che il creditore – acquirente abbia ancora interesse alla prestazione traslativa.
62) Culpa in contrahendo che legittimerebbe una richiesta di risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo e purché vi sia l’incolpevole fiducia dello stipulante (promittente acquirente)SACCO, Il contratto, cit., 49. Cfr. Cass. 18 aprile 1958, n. 1277: “non può invocare l’esonero da responsabilità per forza maggiore il contraente che versa in colpa per avere contratto l’obbligazione senza avere la consapevolezza, sulla base delle norme di comune diligenza, di poterla adempiere. Onde non può lo stesso contraente assumere, come causa di forza maggiore, l’evento di cui era data la prevedibilità all’atto della stipulazione del contratto”. Così anche Cass., 9 novembre 1957, n. 4319; Cass. 7 agosto 1962, n. 2430, in Foro it., 1963, 319; Cass. 23 giugno 1967, n. 1555, in Foro pad., 1968, I, 195; Cass. 7 gennaio 1970 n. 26, in Giurisp. it., 1971, 890; Cass. 29 maggio 1978, n. 2708; Cass. 10 febbraio 1984, n. 1024; App. Palermo, 16 aprile 1971, in Banca Borsa Titoli di Credito,1972, 438 con nota di ALESSI: “la diligenza da usarsi nel contrarre un’obbligazione non è diversa da quella che si deve usare nell’adempimento: cioè sempre quella normale del buon padre di famiglia. Nella compravendita attiene alla normale diligenza del venditore l’obbligo di accertarsi della possibilità della prestazione da lui dovuta”.
63) La possibilità di una garanzia basta sulla volontà delle parti è ammessa dalla giurisprudenza cfr. Cass. 9 novembre 1960, n. 2979, per la quale “l’obbligato, al fine di esimersi dalla responsabilità per inadempimento, non può invocare l’impossibilità della prestazione, anche se dovuta a factum principis, quando nel contratto sia stata prevista la possibilità del verificarsi di un fatto impeditivo della prestazione e l’obbligato ne abbia assunto volontariamente il rischio a proprio carico ovvero quando esso obbligato si sia volontariamente messo in condizione di soggiacere a un eventuale provvedimento di carattere cogente”; in senso analogo cfr. App. Firenze, 14 marzo 1950, in Giur. Tosc., 1960, 76; Trib. Monza, 22 dicembre 1953, in Temi, 1954, 244 (cfr. SACCO, Il contratto, cit., 50 ss.).
64) Si pensi al caso di fabbricato edificato oggi in totale assenza di titolo abilitativo edilizio in area sottoposta a vincolo archeologico. Si veda Cass., 26 maggio 1999, n. 5103, in Giurisp. it., 2000, 707, con nota critica di BERGAMO, Impossibilità giuridica dell'oggetto del contratto derivante da atto amministrativo, per cui “l'impossibilità giuridica, alla stregua delle norme vigenti alla data del contratto, ad ottenere il rilascio dei provvedimenti amministrativi di autorizzazione necessari per l'utilizzazione del bene per l'uso convenuto o per la sua trasformazione secondo le esigenze dell'uso contrattualmente previsto rende nullo il contratto per l'impossibilità dell'oggetto, a norma degli artt. 1346 e 1418 c.c.”. In termini analoghi si era espressa anche Cass., 2 giugno 1992, n. 6676, in Riv. not., 1994, 848, con nota di MASTREONI, Brevi note in tema di deducibilità in condizione del provvedimento amministrativo e di mancato avveramento della condizione per causa imputabile ad una delle parti.
65) Si vedano però le riflessioni di SACCO, Il contratto, cit., 50 ss. per il quale la sanzione della nullità collegata all’impossibilità della prestazione non è inevitabile, posto che il promittente può accollarsi il rischio dell’impossibilità e garantire allo stipulante anche nel caso di impossibilità della prestazione tutto l’interesse positivo. Molte volte, viene osservato, farebbe carico al promittente accertare se una data soluzione di un problema tecnico (cioè la prestazione) sia possibile, e spesso lo stipulante non potrebbe nemmeno pretendere che il promittente, nel corso delle trattive, gli sveli in qual modo supera le difficoltà che si frappongono al conseguimento del risultato. In questa situazione – continua l’A. – bisognerebbe chiedersi se, ed entro quali limiti, il promittente garantisca la possibilità della prestazione, dato che, se il risultato promesso è impossibile, non potrebbe esistere l’obbligazione di procurare il risultato di cui si tratta in natura; ma nulla impedirebbe che la promessa del risultato impossibile generi effetti, vale a dire gli effetti propri della garanzia. Questa garanzia sembrerebbe in contenuto normale e naturale di ogni promessa, quando l’impossibilità sia solo soggettiva, e potrebbe ben estendersi al di fuori di questa ipotesi (cfr. anche E. GABRIELLI, L’oggetto del contratto, , in Comm. cod. civ. diretto da SCHLESINGER, Artt- 1346 – 1349, Milano, Milano, 2001).
Cfr. LUMINOSO, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, cit., 330, il quale da un lato è portato a ritenere che le regole dell’art. 17 debbano trovare applicazione anche per i contratti preliminari alla luce dell’art. 2932 c.c. Dall’altro sostiene che, in ogni caso, anche a voler ritenere non estensibile al contratto preliminare la disciplina urbanistica, ferma l’applicabilità della stessa al definitivo, sarebbe comunque sicura l’operatività delle regole ordinarie in materia di impossibilità originaria dell’oggetto del contratto (art. 1346 e 1418 c.c.) o di impossibilità sopravvenuta – imputabile o meno – della prestazione (art. 1256 e 1453 c.c.) nelle ipotesi di originaria mancanza della concessione edilizia o rispettivamente di suo successivo definitivo rifiuto.
66) Questa circostanza confermerebbe da un lato l’importanza della distinzione tra impossibilità giuridica dell’oggetto (cui è applicabile l’art. 1347 c.c.) e illiceità dell’oggetto (alla quale l’art. 1347 c.c. è estraneo); dall’altro la correttezza della qualificazione dell’impegno a trasferire in bene abusivo in termini di impossibilità e non illiceità dell’oggetto, in guisa tale da ricondurre la fattispecie nell’alveo dell’art. 1347 c.c.
67) Anche per il caso di impossibilità originaria della prestazione possono essere richiamate le considerazioni di cui sopra in ordine alla possibile tutela della posizione del promittente acquirente.
68) All’esito del procedimento quivi disciplinato il bene sembrerebbe da doversi considerare commerciabile e la prestazione oggetto del preliminare, pertanto, possibile.
69) RIZZI, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, cit., 156
70) In questi termini, RIZZI, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, cit., 156, per il quale, inoltre, ai fini della responsabilità del notaio, dovrà essere esclusa la riferibilità del titolo abilitativo edilizio all’edificio solo se la dichiarazione di parte contrasti con altri elementi documentati risultanti dall’atto. ID., Terzo condono edilizio: formalità redazionali con istanza di sanatoria in itinere, cit., con riferimento all’atto avente ad oggetto un bene interessato da una sanatoria in itinere precisa come il requisito formale, prescritto dall’art. 2 comma 58 legge 662/1996, debba essere assolto con la riproduzione in atto della dichiarazione di parte con la quale l’interessato attesti di aver presentato la domanda di sanatoria con indicazione degli estremi della domanda stessa, dei versamenti e della richiesta di parere o del parere già emesso in caso di vincoli, e come il Notaio sia responsabile solo nel caso in cui non provveda a ricevere ed a riprodurre in atto tale dichiarazione di parte, ma non sia invece responsabile in caso di non veridicità di tale dichiarazione. Cfr. anche Consiglio Nazionale del Notariato, La legge 28 febbraio 1985, n. 47 – Criteri applicativi, cit. 32 s.; Id,Condono edilizio e commerciabilità dell'edificio abusivo dopo la legge collegata alla finanziaria per il 1997, in Condono Edilizio – Circolari studi e riflessioni del notariato, cit., 103 s.; Casu – Raiti,Condono edilizio e attività negoziale – Quaderni di Notariato, Milano 1999, 43 ss.; Risposta a Quesito n. 6115/C/2005, Menzioni urbanistiche, dichiarazione di parte e responsabilità notarile, est. Ruotolo: In giurisprudenza cfr. Cass., 17 giugno 1999, n. 6018 in Riv. not., 2000, 446 con nota di Casu, Scrittura privata autenticata e contratto d'opera professionale, per la quale il notaio che abbia autenticato le sottoscrizioni delle parti in calce ad una scrittura privata di vendita di una unità immobiliare compresa in un edificio, senza avere ricevuto dalle parti un incarico specifico di assistenza e consulenza, non può essere considerato responsabile di una dichiarazione invalida resa dalla parte relativamente alla rispondenza dello stato di fatto della singola porzione immobiliare alla concessione edilizia relativa all'intero edificio, non estendendosi la fede privilegiata propria dell'atto notarile al contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti, onde non è configurabile alcuna attività obbligatoria di accertamento da parte del notaio, che non ne abbia ricevuto specifico incarico, sulla veridicità delle dichiarazioni stesse e quindi alcuna sua responsabilità per invalidità dell'atto derivante da loro inidoneità; App. Roma, 27 maggio 1991, in Riv. Not., 1992, 203, che statuisce che nell’ipotesi del silenzio assenso è necessaria l’allegazione della domanda di sanatoria oltre alla menzione degli estremi del versamento dell’oblazione, al fine di un controllo formale sui presupposti del silenzio assenso, non spettando al notaio un controllo sulla reale situazione urbanistica del manufatto né sulla veridicità delle menzioni.
71) Rizzi, Testo unico, nuovo condono edilizio e attività negoziale, cit., 157
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